La grandezza dell’uomo creato in armonia
Nel creare ogni essere umano Dio lo dota di mente, cioè di ragione e di intelligenza. A questo punto Agostino enumera le potenzialità della mente umana, tra cui anche quella delle invenzioni
Nel creare ogni essere umano Dio lo dota di mente, cioè di ragione e di intelligenza. A questo punto Agostino enumera le potenzialità della mente umana, tra cui anche quella delle invenzioni: “Egli stesso pertanto ha dato all’anima umana la mente, nella quale la ragione e l’intelligenza nell’infante è in qualche modo sopita, come se fosse inesistente, da stimolare cioè e da sviluppare con il procedere dell’età, quando è capace della scienza e della dottrina ed è abile alla percezione della verità e dell’amore del bene e con tale capacità raggiunga la sapienza, dotata delle virtù, mediante le quali con prudenza, fortezza, temperanza e giustizia combatta contro gli errori e gli altri vizi congeniti e li vinca con il desiderio di nessun’altra cosa se non del bene di Colui che è sommo e immutabile” (De civ. Dei, XXII, 24.3). Agostino, da contemplativo, si chiede “quale grande bene sia la capacità, disposta per dono di Dio nella creatura razionale, di raggiungere tali beni e quanto sia mirabile l’opera dell’Onnipotente” (Ivi). Ricorda poi in quali ambiti la potenza della mente razionale si è esercitata nella varietà delle arti, in funzione delle necessità e delle voluttà: “Ha prodotto abbigliamenti ed edifici, ha fatto progressi nell’agricoltura e nella navigazione, ha espresso l’arte della ceramica, ha creato statue e pitture, ha scoperto strumenti di ogni genere, strumenti musicali, medicine, sussidi, condimenti per i cibi; ha inventato l’arte del parlare e dello scrivere; ha elaborato composizioni poetiche e testi letterari; ha sviluppato la matematica, la geometria” (Ivi). Un prodigio dunque la mente umana, carica di infinite potenzialità: “Parliamo infatti ora della natura della mente umana, di cui è ornata questa vita mortale, non della fede e del percorso della verità, grazie alla quale si acquisisce quella (vita) immortale” (Ivi). Dio è Provvidenza: “Essendo certamente Dio vero e sommo il Creatore di una così grande natura, dal momento che amministra tutte le cose che ha fatte” (De civ. Dei, XXII, 24.3), la natura umana non sarebbe stata travolta dalle situazioni di miseria, se non “avesse preceduto quel troppo grande peccato nel primo uomo” (Ivi).
Agostino rimane incantato dalla bellezza del corpo umano, tutto armonia nelle sue parti, creato a servizio dell’anima razionale. Fa seguire la segnalazione della varietà di armonia nel corpo umano: “In realtà, già nello stesso corpo, benché per la sua mortalità a noi sia comune con le bestie e sia ritrovato più debole di molte di loro, quanto grande appare la bontà di Dio, quanto grande la Provvidenza di un così grande Creatore! La sembianza e la statura di tutto il corpo non è stata forse così modificata da indicare di essere stato fatto a servizio dell’anima razionale? Non infatti come gli animali privi di ragione che vediamo chini verso terra, così l’uomo è stato creato; ma la forma del corpo eretta verso il cielo ammonisce che egli ha i sapori delle cose di lassù… vi è una così complessa e bella armonia di tutte le sue parti e vi risponde con una tale simmetria che non sai se nella sua creazione sia stata ritenuta maggiore la ragione della utilità rispetto a quella della bellezza. In effetti, nulla vediamo creato nel corpo per l’utilità che non abbia anche un tocco di bellezza” (De civ. Dei, XXII, 24.4). Agostino esemplifica tale utilità intessuta di bellezza nelle proporzioni e interconnessioni delle parti del corpo, anche quelle nascoste e invisibili, come le vene, i nervi, le viscere. Tutto è a strumento musicale. Tutto è accordo. Tutto è proporzione. Tutto nel corpo è armonia di utilità e bellezza (Cfr. Ivi). Anzi, precisa, “penso che nella creazione del corpo sia facile capire che la dignità dell’uomo trascenda la sua necessità” (Ivi). E la stessa avvenenza non sarà più attrattiva di libidine, perché solo Dio sarà oggetto di attrattiva (Cfr. Ivi).
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