L’unità della Chiesa spezzata da superbia e autoreferenzialità
Molti testi nei quali, suo malgrado, Agostino evidenzia la superbia e l’autoreferenzialità, per così dire trasudano sofferenza, nella consapevolezza di quale e quanto grande male è la divisione, provocata appunto dalla superbia e dall’autoreferenzialità, nel caso specifico quella causata dai donatisti...
Molti testi nei quali, suo malgrado, Agostino evidenzia la superbia e l’autoreferenzialità, per così dire trasudano sofferenza, nella consapevolezza di quale e quanto grande male è la divisione, provocata appunto dalla superbia e dall’autoreferenzialità, nel caso specifico quella causata dai donatisti. Per far capire quanto subdola e perniciosa sia l’autoreferenzialità si riferisce ad esempio ad un amico dello sposo, al quale lo sposo ha affidato da custodire la sua sposa, durante la sua lunga assenza: “Ti prego, tu mi sei caro; fa’ in modo che per caso durante la mia assenza nessuno sia amato da lei al mio posto. Che razza di uomo sarebbe quindi colui che, custodendo la moglie del suo amico, si adopera sì perché nessun altro sia da lui amata, ma voglia essere amato lui al posto dell’amico e voglia usare di colei che gli è stata affidata?”. Fuori dall’immagine: i donatisti si sono impadroniti della sposa di Cristo, la Chiesa, per farne una proprietà settaria.
Agostino indaga in profondità, al fine di individuare quali siano le radici malefiche di un così grave male come è la divisione. E si convince, in base allo studio del passato dello scisma donatista e alla sua stessa esperienza, che la madre che genera le eresie e gli scismi è la superbia e l’autoreferenzialità: “In diversi luoghi ci sono diverse eresie. Ma quale unica madre le ha generate tutte la superbia, come l’unica nostra madre, la Chiesa cattolica, ha generato tutti i fedeli cristiani diffusi su tutta la terra. Non c’è perciò da meravigliarsi se la superbia partorisce divisione, mentre l’amore partorisce unità […]. Essi sono come sarmenti inutili della vite recisi dalla roncola per la loro improduttività, così che la vite viene potata non amputata. Perciò quei sarmenti sono rimasti dove sono stati recisi”. All’origine di una appartenenza sta una scelta: o Cristo, e perciò dichiarandosi per l’unità in lui, o un uomo e, di conseguenza, schierandosi per la divisione. Gli eretici e gli scismatici si attivano con tutte le più diaboliche strategie per attirare a sé persino i cattolici, strappandoli dalla loro Chiesa, solo per ambizione di onori e lodi. Agostino pertanto rivolge un appello accorato ai responsabili delle comunità, i servi di Dio, affinché tengano viva la coscienza di non lasciarsi anteporre a Cristo e nemmeno di essere collocati allo stesso livello. La loro superba autoreferenzialità sarebbe causa di scismi, di lacerazioni nei confronti della compagine della Chiesa: “Nessuno di essi dica: «Io sono di Paolo, io di Apollo, e io di Cefa». Ma tutti dicano: «Io sono di Cristo». Questa è la giustizia: non anteporre i servi a Dio, né collocarli allo stesso livello e levare sì gli occhi verso i monti (simbolo degli apostoli) da cui viene loro l’aiuto, ma in modo tale da sperare il loro aiuto non dai monti, ma dal Signore che ha fatto cielo e terra”.
In effetti, togliere a Cristo la gloria per trascinare dalla propria parte qualche proselito è un colpo mortale inferto all’unità in Lui: “Ecco: tutte le genti nell’Uno sono una sola; proprio questa è l’unità”.
L’eresia e lo scisma, frantumando l’unità dove si costruisce la moltitudine, per presunzione generano i pochi, cioè le sette: “Ecco il primo male: il fatto di amare se stessi, per piacere a se stessi. Poiché sono molto presuntuosi di sé, si sono ridotti in pochi. È cosa evidente, fratelli, che tutti coloro i quali si dividono dall’unità, diventano pochi. Infatti sono molti, ma nell’unità, finché non si separano dall’unità. Quando cominciano a non appartenere più alla moltitudine dell’unità, si trovano in pochi nell’eresia e nello scisma”.