Dio ci ama in vista di quel che saremo
Fin dall’inizio del trattato sulla Trinità, Agostino proietta la vita del credente oltre la morte nella contemplazione del volto di Dio, mistero di Amore trinitario, quale ricompensa di una vita di fede...
Fin dall’inizio del trattato sulla Trinità, Agostino proietta la vita del credente oltre la morte nella contemplazione del volto di Dio, mistero di Amore trinitario, quale ricompensa di una vita di fede (cfr. De Trinitate 1,8.17). Evocando l’incontro di Gesù con Marta e Maria, precisa che nell’oltre morte “la parte destinata al servizio del bisogno sarà eliminata dal momento che i bisogni cesseranno” (De Trinitate 1,10.20). E dopo aver annotato che l’opera buona compiuta sulla terra troverà la sua ricompensa in cielo, prosegue: “In quella contemplazione Dio sarà il Tutto in tutti, poiché non vi sarà nient’altro più da chiedergli, ma ci basterà partecipare della sua luce e fruire completamente di Lui” (Ivi). Allora, cioè nella vita nel mondo dei risorti, non sarà più necessaria nemmeno la mediazione di Cristo Sacerdote (cfr. Ivi). In effetti, “suo regno sono i suoi fedeli che Egli ha redento con il suo sangue e per i quali attualmente intercede, mentre non pregherà più il Padre per loro, quando li unirà a sé là dove Egli è uguale al Padre” (De Trinitate 1,11.21). Agostino non lascia mai sospeso il suo pensiero. Lo esplicita sempre. Pertanto motiva la sua ultima affermazione: “Perché in quanto inferiore al Padre (nella sua umanità) prega il Padre, ma in quanto è uguale al Padre, insieme con Lui ci esaudisce” (Ivi). A questo punto Agostino colloca il suo aforisma: “Dio ci ama non per quello che siamo, bensì per quello che saremo, perché ci ama quali ci conserva in eterno” (Ivi). E prosegue: “È quello che accadrà quando avrà consegnato il regno a Dio Padre Colui che ora intercede per noi per non avere più da intercedere un giorno, poiché anche il Padre ci ama” (Ivi).
Chiariamo ulteriormente la questione. Cristo, il Verbo del Padre, si è fatto uomo per salvare l’umanità dal peccato, divenendo nostro Sacerdote intercessore presso il Padre. Non ci ha amati perché eravamo peccatori, cioè ribelli a Dio. Al contrario. Ha odiato in noi il nostro peccato. Ma ci ha amati in vista di ciò che saremmo stati grazie alla sua intercessione, accogliendo nella fede e nell’umiltà la sua grazia di salvezza, con senso di gratitudine. Per questo Agostino conclude il paragrafo con queste espressioni: “Grazie alla fede noi perverremo alla visione di Dio, al fine che Egli ci ami quali ci ama che diventiamo ora, non quali ci odia per quello che siamo (schiavi del peccato)” (Ivi). In definitiva: Dio ci ama ora non per i nostri peccati che Egli odia, ma per l’accoglienza nella fede della sua opera di salvezza; quella salvezza che sarà il sigillo della sua grazia salvifica su di noi per l’eternità.
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