Un film per l’Oscar, ma di grande classe
Birdman - O l’imprevedibile virtù dell’ignoranza
(Usa, 2014)
regia: Alejandro Gonzàlez Inarritu
con: Michael Keaton, Edward Norton, Emma Stone, Naomi Watts
durata: 119 min.
Valutazione Cnvf: complesso/problematico/dibattiti
Gli errori non si risanano con altri errori, ma se è vero che all’ultimo festival di Venezia il film che poi ha trionfato nella notte degli Oscar è stato ignorato, è altrettanto lampante come nella sera più importante di Hollywood si siano dimenticati, nel momento della memoria di coloro che non ci sono più, di ricordare Francesco Rosi. Omissione grave, perché Rosi è stato un gigante della storia del cinema, mentre Alejandro Inarritu, ottimo regista, non ha ancora dimostrato di essere allo stesso livello del maestro napoletano.
Detto questo, Birdman è un buon film, forse un po’ troppo furbo e confezionato in maniera troppo esplicita al fine di vincere l’ambita statuetta, ma certamente di notevole interesse. Il regista messicano riprende un luogo narrativo mille volte esplorato dal cinema: quello del teatro e della recitazione e dello spettacolo e del rapporto tra spettacolo e vita vera. Il protagonista Riggan Thomson ha avuto il suo più grande successo interpretando il supereroe Birdman, dal quale però non è più riuscito a scollarsi (ed è evidente la scelta di casting che ha affidato la parte a Michael Keaton, che trascorsi del genere li ha rispetto a Batman). L’attore tenta di riaccreditarsi partecipando alla messa in scena di uno spettacolo teatrale tratto da Raymond Carver, nella quale si trova come ingombrante partner un attore pressoché perfetto, Mike Shiner (Edward Norton). A questo si aggiunga una situazione di famiglia parecchio instabile, con una figlia ex tossicodipendente (Emma Stone) che non ha nessuna stima di lui.
Il racconto si sviluppa con quello che apparentemente è (quasi) un unico piano-sequenza, cioè una ripresa continua senza stacchi di montaggio (non è proprio così, ma la maestrìa sia del regista che del direttore della fotografia Emmanuel Lubezki che del montaggio curato da Douglas Crise e Stephen Mirrione, è tale da non rendere evidente gli artifizi tecnici usati. Un po’ come aveva fatto, ben prima del digitale, Alfred Hitchock nel 1948 con Nodo alla gola). Tecnica difficile, ma efficace, che rende al meglio lo stato di ansia, di inquietudine, di insicurezza e pure di volontà di riscatto del protagonista. Ogni interprete rende al meglio (ricordiamo almeno anche Naomi Watts nella parte di una collega attrice) e il film non ha mai un attimo di cedimento. Un pochino troppo esercizio di stile per essere sincero fino in fondo, ma un esercizio di stile di alta classe.