I soliti limiti delle favole rivisitate...
Pan - Viaggio sull’isola che non c’è
(Usa / Gran Bretagna, Australia, 2015)
regia: Joe Wright
con: Levi Miller, Garrett Hedlund, Hugh Jackman, Rooney Mara, Amanda Seyfried
durata: 111 min.
C’erano una volta le fiabe per bambini. Ci si metteva intorno a qualcuno che raccontava e partiva la magia di una narrazione dentro la quale si era disponibili a credere a qualsiasi cosa. Era il tempo dell’innocenza, anche di società intere, oltre che dei singoli individui. Quel tempo è finito da tempo, se è vero che poi giunsero le epoche del disincanto, dell’analisi psicoanalitica di miti e simboli, della destrutturazione linguistica di qualsiasi costruzione fantastica. Ne sono testimonianza molti libri, molte graphic novels, molte serie televisive: tutte produzioni, peraltro, di notevole qualità e interesse.
Ultima in ordine di tempo arriva questa ennesima riproposizione del personaggio di Peter Pan, creato nel 1902 da James Mattthew Barrie, qui raccontato nelle vicende che precedono quelle rese famosissime soprattutto dallo stupendo film di animazione Disney, realizzato nel 1953 e diretto dal quartetto di maestri di animazione formato da Hamilton Luske, Clyde Geronimi, Wilfred Jackson e Jack Kinney.
Si parte proprio dalle origini, dalle primissime ore di vita del personaggio, che ancora in fasce viene abbandonato dalla madre nei giardini di Kensington, vicino ad un orfanotrofio, con due soli lasciti: una catenina al collo con un flauto di Pan e una lettera di impegno a rivedersi con la genitrice. Dodici anni dopo, mentre su Londra infuria un bombardamento aereo, il preadolescente Peter (Levi Miller) viene rapito dalla ciurma del terribile pirata Barbanera (Hugh Jackman) e portato a lavorare nelle miniere di polvere di fata sull’Isola-che-non-c’è. Lì incontrerà James Uncino (Garrett Hedlund) e la giovane e bellissima pellerossa Giglio Tigrato (Rooney Mara) che, d’ora in poi e nel bene e nel male, diverranno compagni fedeli delle sue avventure.
Il guaio di molte riletture postmoderne di racconti fantastici notissimi, al quale purtroppo non si sottrae neanche questo film, è che per non ripetere schemi e formule troppo conosciute, a volte sceneggiatori e registi si sbizzariscono nell’aggiungere riferimenti a generi e stili e livelli di lettura francamente esagerati. Il pur bravo Joe Wright non riesce a superare questi scogli e ci propone un film che ha qualche buon momento di interesse e di fascinazione, ma che alla fine risulta più un accumulo di materiali non congruenti fra loro che un’opera convincente.