Anche la fantascienza aiuta a riflettere
The war – Il pianeta delle scimmie
(Usa, 2017)
regia: Matt Reeves
con: Andy Serkis, Woody Harrelson, Steve Zahn, Amiah Miller
durata: 142’
Sono passati quasi cinquant’anni da quel 1968 che anche nel cinema di fantascienza, oltre che in molti altri settori della società mondiale, fu un anno memorabile.
Uscì allora, infatti, quel capolavoro assoluto e tuttora insuperato che è 2001: Odissea nello spazio di Stanley Kubrick, che cambiò in modo radicale lo stile del cinema fantascientifico e ancora oggi è da riferimento obbligato a chiunque voglia raccontare una storia di straniamento e di anticipazione.
Uscì anche – nulla a che vedere in quanto a qualità artistica in confronto a Kubrick, ma produzione comunque da ricordare – il primo film della serie de Il pianeta delle scimmie, ispirato al romanzo di Pierre Boulle e diretto da Franklin J. Schaffner.
La serie, come è noto, è stata ripresa nel 2011 e arriva ora con questo terzo titolo al compimento del racconto previsto.
Siamo in pieno conflitto tra le scimmie e gli umani. Cesare (ancora una volta interpretato, con massiccio ausilio di computer graphic, dallo straordinario Andy Serkis), assurto a leader della sua specie, si trova a dover fronteggiare un esercito comandato da un parossistico e assai psicopatico colonnello (Woody Harrelson), che ha ovviamente giurato al mondo di sterminare una razza considerata inferiore.
Ecco quindi riproporsi tutte le dinamiche tipiche dei tempi di guerra, con le tensioni interne agli eserciti che contrappone la saggezza politica di un Cesare che ha un nome da imperatore ma che assomiglia sempre di più allo schiavo Spartaco, e altre scimmie che vorrebbero contrapporsi in modo speculare al delirio da soluzione finale del colonnello umano.
Con esplicito rimando a uno degli ultimi grandi classici del cinema di guerra, ad un certo punto compare nel film persino la scritta Ape-calypse Now (Ape-scimmia), a ricordare che la cinematografia di una delle nazioni più belligeranti di sempre non trascura mai di riflettere sulle origini, le cause, i motivi e le conseguenze del perenne stato di guerra nel quale gli americani sembrano volersi trovare quasi per volere del destino.
L’interrogativo che ancora una volta viene riproposto, con potenza spettacolare che non trascura di offrire ottimi spunti di riflessione, è quello del rapporto tra i fini, quasi sempre nobili, che si dichiarano e i mezzi, molto spesso atroci, che vengono utilizzati per raggiungerli. La conclusione non sarà né consolatoria né rasserenante, ma anche storie come questa ci possono aiutare a porci seri interrogativi sul nostro passato e, ancor più, sul nostro futuro.