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Un'esperienza di vita buona

Intervista a Claudio Bolcato, presidente uscente dell'Azione Cattolica diocesana

Un'esperienza di vita buona

Sabato 16 novembre al Centro Carraro si è svolta l’assemblea elettiva dell’Azione cattolica diocesana, aperta da un momento di preghiera presieduto dal vescovo Giuseppe Zenti. Abbiamo chiesto a Claudio Bolcato, presidente uscente, di tracciare un bilancio dei suoi due mandati alla guida dell’associazione.

– Dopo sei anni di attività da presidente, quali sono le tre parole che pensa possano definire questo periodo intenso?

«Le tre parole che scelgo sono: unitarietà, associazione e coraggio. L’Ac funziona quando si ricorda di essere un’associazione e si pensa e si vive come tale, in maniera unitaria; quando si sceglie consapevolmente di condividere la missione della Chiesa insieme, di perseguire con coraggio quel cambiamento che significa capacità di saper leggere i tempi in cui viviamo con creatività e discernimento per rimanere sempre fedeli alla missione».

Associazione: qual è il valore di questa parola, inserita in un contesto storico-sociale nel quale tutto sembra spingere sempre più verso un individualismo incontrollato?

«Spesso si pensa che l’Ac sia solo “formazione e riunioni”. In realtà siamo tutti cresciuti condividendo legami di vita buona, progettando e verificando insieme le proposte dell’associazione, sviluppando relazioni di amicizia, promuovendo la comunione. Qualcuno ci considera un modello anacronistico e ridondante, ma è il nostro tratto caratteristico che ci permette di farsi prossimi gli uni agli altri per accogliersi e condividere un tratto di strada insieme, come “fratelli in umanità”, per essere comunità».

Vangelo, la "buona notizia" legata all'incontro con la persona di Cristo. Cosa significa per lei, oggi, essere laici chiamati a diffondere questa "buona notizia"?

«La tradizione dell’Azione cattolica è sempre stata caratterizzata da un impegno formativo qualificato e originale nel comunicare il Vangelo, la “buona notizia”. Oggi però sentiamo forte la responsabilità di comunicare il Vangelo in forme nuove ma sempre autentiche ed efficaci. Tutti i membri dell’Ac possono essere dinamicamente missionari: i ragazzi evangelizzano i ragazzi, i giovani i giovani, gli adulti gli adulti, e così via. Niente di meglio di un proprio pari per mostrare che è possibile vivere la gioia della fede. Oggi viviamo una stagione nuova della Chiesa italiana e del nostro Paese: questo è tempo di missione. La comunità e in essa l’associazione devono trovare parole e forme nuove per comunicare il Vangelo ed entrare in dialogo con un mondo in cambiamento».

– Il cuore dell'esperienza di Ac è senza dubbio legato alla parola formazione. Come è cambiata la sua concretizzazione negli anni del suo mandato e quali pensa possano essere le prospettive future?

«La formazione è il cuore dell'Ac e l’anima del suo impegno missionario, l’ambito in cui si desidera continuare ad investire. È il momento e il luogo in cui insieme si ascolta la vita e si interroga la fede. Saranno necessari adattamenti, per evitare di riproporre costantemente modelli non più aderenti al nuovo contesto e quindi inefficaci. Contenuti e metodi della formazione andranno rivisti, avendo particolare cura per le dinamiche relazionali. Soprattutto per giovani e adulti questo appare importante, anche a livello di metodo. Una formazione focalizzata sul servizio da compiere non è completa e non basta più. Alla luce della revisione degli itinerari di iniziazione cristiana avviata in diocesi, va con forza e coraggio posta anche la questione dell’integrazione della proposta dell’Acr, esperienza unica nel suo genere».

Cambiamento è l'ultima parola, che si impone come necessaria in un tempo nel quale tutto sembra andare a velocità incredibilmente elevata. Come pensa possa cambiare l'Azione cattolica nel prossimo periodo?

«È essenziale ritrovare spazi, luoghi e modi nuovi all’interno delle nostre parrocchie e nella nostra diocesi per essere Ac oggi. Il nostro percorso di riflessione assembleare necessita di proseguire con un ulteriore momento straordinario, che coinvolga tutti i soci e i responsabili, ma anche sacerdoti e dove possibile anche laici esterni. Un momento straordinario all’insegna della sinodalità e dell’Evangelii Gaudium, con particolare attenzione allo studio della realtà locale, alla promozione dei processi di rinnovamento da innescare, alla riflessione circa le possibili alleanze da costruire, senza trascurare il processo di nascita delle unità pastorali, che ci dovrà vedere promotori di un giusto approccio ad esse».

– Chiudiamo con la parola che rischia di essere più scontata, ma che se espressa con sincera gratitudine può rivelare tutta la sua forza: grazie. Il primo "grazie" è quello all’Azione cattolica di Verona al completo, formata da tutte le persone che nel corso di questi sei anni hanno composto e colorato il cammino associativo che lei hai accompagnato nel ruolo di presidente. Il secondo "grazie" spetta a lei: a chi è rivolto?

«Non ho dubbi! Il secondo grazie va alla mia famiglia che mi ha sempre accompagnato e sostenuto in questo cammino, sopportando le mie assenze, le stanchezze, condividendo i momenti belli e meno che l’incarico di responsabilità comporta. Però un grazie in più lo dedico di cuore a Tito Brunelli, Renato Perlini, Giuseppe Bellavite, Mauro Pavoni, Marco Dal Forno, Andrea Costa, Roberto Marrella: sono gli ex presidenti diocesani, con i quali in diversi momenti ho avuto occasione di confrontarmi ricevendo suggerimenti e sostegno. Sono orgoglioso di aver contribuito insieme a loro a questa splendida storia che è l’Azione cattolica».

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