Se tutti sapessimo fare le manovre di rianimazione migliaia di vite verrebbero salvate
Poco più di un mese fa una partita di calcio del massimo campionato spagnolo è stata fermata per quasi un’ora a causa di un arresto cardiaco che improvvisamente ha colpito uno spettatore...
Poco più di un mese fa una partita di calcio del massimo campionato spagnolo è stata fermata per quasi un’ora a causa di un arresto cardiaco che improvvisamente ha colpito uno spettatore. Non è un caso unico, ma questa notizia non poteva di certo passare inosservata, con il video della corsa del portiere con il defibrillatore in mano verso i soccorritori in curva e la sensazione che non è poi del tutto vero che sempre e comunque “the show must go on”. Chissà come sono riusciti ad agire gli operatori in quella confusione, ma di certo sarebbe stato bello se avessero potuto chiedere a tutti i presenti di intonare Stayin’ Alive dei Bee Gees, che secondo gli esperti segnala il ritmo giusto per le manovre di rianimazione. Per fortuna in quel caso tutto è andato al meglio e ci si può scherzare sopra; ma le statistiche dicono che muoiono per arresto cardiaco improvviso 60mila persone in Italia e 400mila in Europa: è il più importante problema sanitario. Come per lo spettatore allo stadio, il 70% di questi problemi non previsti avviene in presenza di altra gente che potrebbe allertare il 112 (numero di emergenza unico europeo) e iniziare subito le manovre adatte: il problema è che solo il 15% agisce perché gli altri non sanno come procedere o non si sentono in grado di fare nulla. Per questo in Europa ogni 90 secondi si tenta senza successo di rianimare un paziente a causa di manovre iniziate troppo tardi. A cercare di portar rimedio a tutto questo, ogni 16 ottobre viene vissuta la Giornata mondiale della rianimazione cardio-polmonare (Rcp), con l’obiettivo di formare più persone possibili a questa abilità e di rendere consapevoli di come sia possibile a tutti imparare.
Secondo gli esperti, se gli interventi rapidi fossero attorno al 50-60%, si salverebbero circa 100mila persone all’anno; in Italia, grazie al lavoro di questi anni, il dato è salito al 30%. Intervenire nei primi minuti può addirittura triplicare la possibilità di sopravvivenza, ovvero salvare centinaia di migliaia di vite; al contrario, le probabilità di buon esito diminuiscono del 10% ogni minuto se non viene praticata la rianimazione cardiopolmonare. Siccome il problema è che il cuore non si contrae più e non circola il sangue nei vasi sanguigni, le manovre fondamentali riproducono il lavoro cardiaco in modo da permettere il trasporto di ossigeno ai vari organi e tessuti mantenendo in vita le cellule. La garanzia non è assoluta, ma è l’unico modo per dare speranza di sopravvivenza e cercare di limitare danni cerebrali. Essenziale per essere in grado di intervenire è partecipare agli appositi corsi di formazione: sono tanti, brevi e forniscono insegnamenti e informazioni da parte di medici e altri professionisti sanitari. Così si può essere come il buon samaritano che incrocia il momento di bisogno di una persona in maniera imprevista, ma che ha già con sé il bagaglio essenziale: là olio, vino e denaro; qui alcune competenze teoriche e pratiche che permettono di non rimanere con le mani in mano.
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