I dialetti, quelle (tante) lingue locali che ci hanno insegnato a parlare l’italiano
Nei mesi scorsi molti hanno ricordato i trent’anni dall’inizio del programma televisivo Mai dire gol (1990-2001) che ironizzando sul calcio (la cosa più seria in Italia!) ha dato popolarità a tanti comici.
Nei mesi scorsi molti hanno ricordato i trent’anni dall’inizio del programma televisivo Mai dire gol (1990-2001) che ironizzando sul calcio (la cosa più seria in Italia!) ha dato popolarità a tanti comici. I tre inviati da Cagliari erano impersonati da Aldo, Giovanni e Giacomo che non perdevano occasione per ricordare che il sardo è una lingua, mentre l’italiano un dialetto. All’epoca, i ragazzi ne facevano una bandiera per scontrarsi con i docenti, colpevoli di accettare a scuola solo l’italiano. Ancora oggi, i loro video in rete ottengono milioni di visualizzazioni e commenti di gente – diventata adulta – che si azzuffa per difendere il sardo come ciò che è rimasto di più fedele al latino o per osannare il modo di parlare della sua regione (se non città, quartiere, via…). Nel frattempo, dal 2013 ogni 17 gennaio viene proposta la Giornata nazionale del dialetto e delle lingue locali, voluta in particolare dall’Unione nazionale Pro loco d’Italia. Le passate edizioni, già fortemente social, sono state l’occasione per far conoscere vari poeti dialettali e per mettere in circolazione contributi provenienti da ogni angolo della nostra Penisola, senza paura di essere considerati provincialotti o arretrati. D’altronde, Tullio De Mauro (1932-2017) grande linguista e per un paio d’anni ministro della pubblica istruzione, sottolineava come la grande presenza di dialetti nel nostro Paese ha motivazioni storiche: alla base vi è una comunità multilinguistica e l’unificazione – motivata per alcuni da una comunanza linguistica, non reale – non ha cancellato le differenze, ma ha spinto tutti a impegnarsi nella conoscenza della lingua comune. Al presente praticamente tutti la intendono e la sanno usare – affermava lo studioso pochi mesi prima della morte – ma quasi la metà preferisce alternarla al dialetto, soprattutto nel parlato: la conseguenza, quasi paradossalmente, è che aumenta la comprensione perché viene migliorata l’espressività e arricchito il dialogo. Anche nei nostri territori, non manca l’uso – spesso orgoglioso, a volte anche fastidioso perché pretestuoso – delle espressioni locali. E ci sono pure associazioni pronte ad insegnare il dialetto veronese a chi lo avesse dimenticato o venisse da “oltre i confini”. Tra questi, gli autori del sito La Rena domila che, nella lezione 1 di quello che è presentato come primo corso di dialetto veronese su internet, si chiedono se si tratti o meno di una lingua. La soluzione è presto detta, o meglio, scritta: “L’è una léngua formà da tanti dialéti”. La particolare conformazione geografica, infatti, porta il veronese a subire l’influenza (o imbastardimento stando alle parole del sito) delle province confinanti: questo non lo rende meno degno di un italiano che è diventato “un carneval de parlade” con l’eccessivo utilizzo di parole straniere. Ad ogni modo, il comico veneto Natalino Balasso denuncia spesso come, in lingua o in dialetto, ci siamo abituati che si fa prima a dire a uno “cretino” che a provare a capirlo.
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