Il genio speciale di Ennio Morricone eccellente musicista non solo per il cinema
Aveva un genio speciale Ennio Morricone, scomparso a Roma il 6 luglio scorso: quello di saper concepire profili melodici o ritmici netti, decisi, a volte in ampie campiture liriche, a volte in taglienti figure sincopate. Per questo è stato un eccellente musicista per il cinema, dove la capacità di invenzione tematica sulla misura breve è essenziale per la denotazione o la connotazione narrativa.
Aveva un genio speciale Ennio Morricone, scomparso a Roma il 6 luglio scorso: quello di saper concepire profili melodici o ritmici netti, decisi, a volte in ampie campiture liriche, a volte in taglienti figure sincopate. Per questo è stato un eccellente musicista per il cinema, dove la capacità di invenzione tematica sulla misura breve è essenziale per la denotazione o la connotazione narrativa. Non sarà nemmeno necessario ricorrere alle incisioni per ricordare i suoi capolavori nel genere: tutti i film di Sergio Leone, per esempio, dal motivetto fischiato di Per un pugno di dollari, al carillon del duello di Per qualche dollaro in più, dalla rutilante corsa nel cimitero di Tuco ne Il buono, il brutto, il cattivo, alla voce di soprano che intona senza testo il tema di C’era una volta il west, dallo straniante ma appassionato “Sean Sean” di Giù la testa al sofferto tema di Deborah in C’era una volta in America. Se di “immaginario sonoro” si può parlare è senza dubbio in buona parte occupato dai temi morriconiani, andando a incidere in modo particolare nel paesaggio musicale del western che, da Leone/Morricone in poi, non sarebbe stato più lo stesso.
Ma certo non solo di ispirazione melodica è sostanziata la sua arte. Forse soprattutto dal punto di vista dell’orchestrazione le sue musiche presentano caratteri di altissima originalità: sul tronco dell’orchestra sinfonica, Morricone ha di volta in volta innestato timbri desueti, percussioni di ogni tipo, suoni concreti, chitarre elettriche, distorsioni elettroniche, utilizzando gli strumenti tradizionali con un gusto tutto particolare per la dissonanza sardonica o per l’asprezza drammatica, sempre avendo la cura di sintonizzare la scrittura con il tessuto narrativo del film. I capolavori, in questo senso? Forse Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto di Elio Petri e The Untouchables-Gli intoccabili di Brian De Palma. Nel film italiano, il suono dello scacciapensieri, l’iterazione ritmica ossessiva del fondo al tema per pianoforte elaborato e pizzicato degli archi, i borborigmi degli ottoni dettano alla partitura lo stesso tono straniato e grottesco che regia, sceneggiatura e interpretazione inventano per questo terribile spaccato della società italiana. In modo non dissimile, nel film americano il compositore plasma un suono caricaturale del growl tipico del jazz anni ’20, a contrappuntare qua e là una partitura di singolare varietà, che alterna tappeti ritmici martellanti, contesti di sincopi rabbiose (i titoli di testa) a espansioni epiche trascinanti (la corsa a cavallo al confine canadese). Ancora una volta, il musicista interpreta in musica la forma del film e del regista, che crea il suo capolavoro proprio sul limite tra l’epopea e la parodia.
Nell’ambito dell’orchestrazione, poi, basterebbero un altro paio di esempi, al di fuori della musica cinematografica: Sapore di sale di Gino Paoli, da riascoltare ponendo attenzione agli improvvisi tocchi dissonanti del pianoforte, che contribuiscono a togliere un po’ di melassa alla canzone; oppure Se telefonando, anche composta, che rimane il capolavoro del pop italiano per l’incredibile “muro di suono” con ritmica americana, ottoni ossessivi, archi e coro ad armonizzare la voce di Mina, e soprattutto una scrittura che sugli spostamenti degli accenti ritmici costruisce quel perturbante modo condizionale che è l’impianto anche dei versi: un tocco magistrale, che da solo potrebbe render conto di un’arte tra le più significative dell’Italia contemporanea.
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