Pentagrammi
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Si ricorda Claude Debussy nel centenario della morte

Pochi compositori come Claude Debussy (1862-1918), di cui il 25 marzo si celebra il centenario della morte, rivelano, sin dalle prime opere, una forza così densa di presenza poetica, di innovazione radicale, di visionaria potenza disvelatrice...

Parole chiave: Claude Debussy (1), Centenario (6), Pentagrammi (37)

Pochi compositori come Claude Debussy (1862-1918), di cui il 25 marzo si celebra il centenario della morte, rivelano, sin dalle prime opere, una forza così densa di presenza poetica, di innovazione radicale, di visionaria potenza disvelatrice. Cresciuto all’ombra della rivoluzione di Wagner da un lato, e di quella di Baudelaire sino a Mallarmé dall’altra, il Maestro ha portato nella musica un connotato di libertà creativa che si affrancava sia dal modello tedesco che dalla tradizione francese, pur proseguendo di entrambe l’estetica tipica dell’estrema generazione romantica, simbolista e decadente, per usare le formule riduttive ma pur sempre utili della storia artistica. Ma che Debussy sfugga a etichette è cosa certa, né potrebbe essere altrimenti: così sempre quando si palesa l’autentica grandezza, vuoi nella produzione sinfonica, che in quella pianistica e nel teatro musicale.
Essenze strane e vertiginose si sprigionano per esempio dalle serie dei Préludes e delle Images per pianoforte: il ricorso ai titoli per i vari brani, lungi dal voler descrivere il flusso musicale, si propongono quale chiave per entrare nell’universo evocativo puramente musicale, dove l’effetto flou che slabbra le superfici del paesaggio sonoro, confondendone contorni e profili, valorizzando il silenzio tra le note tanto quanto le frequenze stesse, trova nel timbro puro il parametro fondamentale della musica nuovissima che apre al ventesimo secolo e dunque a un mondo estetico diverso. Così, in modo ancor più percepibile, nelle composizioni sinfoniche l’arte dell’orchestrazione porta nei Nocturnes, ne La Mer o nel Prélude à l’après-midi d’un faune a un tipo di scrittura fluttuante, di luci abbaglianti e di dettagli che si perdono nella nebbia di latte d’un suono che ha valore di per sé: dentro all’architettura, ben inteso, eppure in qualche modo da essa affrancata, come se il precetto di Baudelaire “ordine e bellezza” fosse rivissuto proprio nel rapporto organico tra il massimo controllo tecnico e la libertà dell’intuizione lirica immediata e bruciante.
Impressionismo musicale, dunque, quello di Debussy? Sì, qualora si intenda il termine quale indicatore di stile che privilegia la sfumatura al dettaglio squadrato; la frammentazione del dettaglio alla sua ricomposizione nella forma monumentale; la libertà ritmica e melodica alla sua definizione classica. Uno stile, dunque, in cui il mood, cioè il vago stato d’animo, sia più importante del gesto assertivo. Si pensi allora proprio al celeberrimo Prélude à l’après-midi d’un faune, in cui il fauno intona al demone meridiano un motivo al flauto di inaudita oscillazione melodica, in cui un certo ordine ritmico si rileva tuttavia, ed è proprio quest’ordine a garantire l’intelligibilità d’un fantastico altrimenti ermetico, che resterebbe nella pagina di Mallarmé cui il titolo rimanda. Nella scrittura di Debussy, la predisposizione al sogno, al mistero e al culto per la bellezza si trasforma, pur in un alone relazionale con l’extra musicale, con mezzi formali desueti eppure resi comprensibili alla coscienza percettiva: ad esempio, con le scale usate dalla musica giavanese, udita dal compositore durante l’Esposizione Universale parigina del 1889: gesto creativo, quest’ultimo, che anticipa molte pratiche di “contaminazione” divenute di prassi nel secolo successivo.
Sarà forse anche per questa ragione che l’abusata espressione di “artista attualissimo” ben si attaglia, anche a un secolo di distanza, al genio massimo della Francia musicale.

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