Sandokan ritorna e infiamma i fan per una buona causa
di ADRIANA VALLISARI
Kabir Bedi in Italia per presentare il suo libro
Applausi scroscianti, grida festose, telefonini branditi come telecamere e lunghe file per avere un autografo. Ci sono poche celebrità che possono vantare lo stesso calore di cui gode Kabir Bedi, divenuto celebre negli anni ’70 per aver interpretato il personaggio di Sandokan; allora ben 27 milioni di italiani sedevano davanti alla tivù per vedere l’imperdibile serie diretta da Sergio Sollima.
La scorsa settimana l’attore indiano, 76 anni, è stato investito dall’affetto di moltissimi fan veronesi. L’hanno acclamato a Sona e a Soave, nelle tappe di presentazione della sua autobiografia Storie che vi devo raccontare (Mondadori), all’interno del tour italiano per l’Ong veneziana Care&Share Italia, realtà che da 30 anni aiuta i bambini marginalizzati dell’India, aiutandoli a ricevere un’istruzione di qualità. Da alcuni anni Bedi è ambasciatore dell’associazione e le due tappe veronesi sono servite a raccogliere fondi per il mantenimento di “Mangoes Home”, una casa-famiglia per orfani a Vijayawada, nell’India del Sud. L’abbiamo intervistato al suo arrivo a Soave.
– Kabir, per noi italiani lei è Sandokan. Che effetto le fa essere ancora associato al personaggio che l’ha reso famoso?
«Anche se ho fatto tanti altri film e serie televisive, so che voi italiani mi pensate sempre come Sandokan. Per me è un grande complimento: ogni attore vorrebbe essere ricordato almeno per un ruolo indimenticabile».
– Se ripensa a quei gloriosi anni Settanta, prova nostalgia?
«La nostalgia implica il rimpianto, invece io ho dei bellissimi ricordi di quel periodo, pieni di gioia. Per me il vero miracolo di Sandokan è che lo straordinario successo di allora sia durato per 46 anni e tuttora continui».
– Verona ha dato i natali allo scrittore Emilio Salgari, morto in disgrazia nel 1911; dalla sua penna sono nati romanzi d’avventura molto popolari, tra cui la saga di Sandokan e Il corsaro nero. Cosa l’ha colpita di più di lui?
«Ho un grande rispetto per Emilio Salgari, per me è un gigante e spero di poter fare qualcosa su di lui un giorno. Non era mai uscito dall’Italia ma aveva un’immaginazione enorme, combinata alla ricerca di dettagli veri. Ha scritto storie avventurose ambientate in Asia, Africa, Russia, Canada, America; è stato un uomo con la grande capacità di ispirare le persone e sono rimasto sorpreso nello scoprire che aveva avuto una vita poverissima, nonostante la popolarità».
– Il successo è una medaglia a due facce, anche lei l’ha sperimentato...
«È un tema che affronto nel libro, che non è un elenco dei miei successi, delle grandi persone che ho incontrato, dei posti che ho visitato. Parlo anche delle tragedie affrontate nella mia vita, come la morte di mio figlio Siddharth. Mi sono sempre chiesto come possiamo trasformare degli eventi sfortunati in situazioni migliori. Prendiamo la pandemia, tutti noi abbiamo sofferto: qualcuno ha perso chi amava, altri il lavoro, tutti abbiamo cambiato la maniera di vivere. E quando succedono dei cambiamenti di vita improvvisi all’inizio reagiamo con shock, quindi li accettiamo; c’è un periodo di tristezza, ma poi la vita deve continuare».
– Nel suo libro racconta con sincerità di tutte le volte in cui è caduto e si è rialzato. Anche Sandokan rischiava di farla precipitare, è così?
«Sì, dopo lo strepitoso successo di Sandokan non ho più ricevuto offerte di lavoro. Mi sono reso conto che dovevo lasciare l’Italia per fare altri film, per dare tempo agli italiani di capire che ero un attore capace di interpretare nuovi ruoli. Così ho recitato nella saga di James Bond, ho fatto Beautiful e tante altre cose a Bollywood».
– Oggi vive a Mumbai e si impegna per aiutare i bambini poveri del suo Paese. Come mai?
«I miei genitori, che hanno sacrificato tante cose per l’indipendenza dell’India, non avevano molti soldi ma hanno voluto dare una buona educazione ai loro figli. Perciò quando Care&Share Italia mi ha chiesto di diventare ambasciatore, ho subito detto di sì: mi sta a cuore l’educazione dei più poveri tra i poveri e sono felice della collaborazione tra India e Italia, due Paesi che amo. Se vogliamo cambiare il mondo e migliorare le nostre vite dobbiamo cominciare a togliere le persone dalla povertà: basta poco e tutti possiamo aiutare, non occorre essere eroi».
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