Le mafie nel Veneto e il “caso Verona”
Gianni Belloni - Antonio Vesco
Come pesci nell’acqua. Mafie, impresa e politica in Veneto
Donzelli Editore
Roma 2018
pp. 210, euro 28
“Al Nord esiste una ‘borghesia mafiosa’, composta da imprenditori, liberi professionisti e politici… che fa affari con le cosche, ricercandone addirittura il contatto”. Lo hanno scritto i giudici della Corte d’appello di Bologna nelle motivazioni della sentenza con la quale, a settembre del 2017, sono state in gran parte confermate le condanne in primo grado a 58 degli imputati di “Aemilia”, il più grande processo alla ‘ndrangheta mai celebrato in Emilia-Romagna. Ma l’inchiesta ha coinvolo pure otto soggetti residenti in Veneto (di cui sei nella provincia scaligera), come hanno ricordato Gianni Belloni ed Antonio Vesco nelle 210 pagine del loro Come pesci nell’acqua. Mafie, impresa e politica in Veneto, edito per i tipi della Donzelli nel febbraio di quest’anno.
L’oggetto principale del libro riguarda gli effetti dell’incontro della criminalità organizzata con il contesto imprenditoriale e politico della regione. “Da qui il titolo del volume, che fa riferimento alla centralità assunta dal contesto per le dinamiche operative delle mafie”, come scrivono i due autori nell’introduzione.
La ricerca, accuratissima, è basata sulla documentazione delle forze dell’ordine e della magistratura, nonché su una serie di interviste a dei “testimoni privilegiati” che hanno contribuito ad integrare gli atti prodotti dai soggetti del sistema penale nel corso delle indagini.
Uno dei sei capitoli – il quinto, per la precisione – che compongono il volume riguarda la provincia scaligera, dove la presenza di gruppi della ‘ndrangheta avrebbe dato vita a un vero e proprio radicamento criminale, come emerge dalle sedici interdittive antimafia emesse a partire dal 2015, anno in cui Salvatore Mario Mulas è divenuto prefetto di Verona.
Se dunque è vero che il Veneto non è più un’isola felice, è pur vero che la provincia scaligera rappresenta un laboratorio particolare in cui si sono incontrati gruppi criminali e alcuni esponenti dell’imprenditoria, della politica e delle amministrazioni locali. Ciò consente ai due autori di parlare di “caso Verona”, un territorio peculiare per la consistente stratificazione di insediamenti criminali “nella fascia a sud e sud ovest fino al lago di Garda”, con gruppi particolarmente attivi nel settore della logistica, dei servizi finanziari, dell’edilizia, del narcotraffico e dell’usura. Tali gruppi avrebbero un’organizzazione più flessibile e meno strutturata rispetto ai sodalizi criminali calabresi presenti in Lombardia e in Piemonte.
A Verona si ritrova dunque quel “panorama di ombre” che fanno del Veneto una regione dove, in una sorta di cortocircuito emotivo, “l’evocata presenza delle mafie è chiamata in causa per spiegare diversificate dinamiche di illegalità”. Prevalgono, in conclusione, le impressioni; ma, leggendo il lavoro di Belloni e Vesco, le impressioni lasciano il posto ai fatti che, con la loro materialità, lanciano l’allarme: la mafia, a Verona come nel Veneto, non si sta infiltrando, perché si è già insediata.
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