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La vera classe disagiata è il ceto medio

Raffaele Alberto Ventura
Teoria della classe disagiata
Minimun Fax - Roma 2017
pp. 262 - euro 16

La vera classe disagiata è il ceto medio

Nel 1899 Thorstein Bunde Veblen diede alle stampe Teoria della classe agiata; nel suo lavoro, il sociologo statunitense poneva l’accento sulla responsabilità pubblica (da un punto di vista estetico ed etico) del patrimonio privato. Raffaele Alberto Ventura, invece, nel suo Teoria della classe disagiata, pubblicato nel settembre 2017 per la Minimum Fax, leggendo Goldoni e Kafka come fossero economisti e Marx e Keynes come fossero scrittori, parla di inganni: parole come creatività o sapere divengono cappi al collo di una generazione che finge di ignorare l’insostenibilità della società del benessere (presunto) in cui vive.
La classe disagiata che dà il titolo al libro è l’ampia fascia di ceto medio che aspira alla condizione borghese, replicandone consumi e comportamenti, ma senza avervi realmente accesso. Ciò genera quel capitale che è la cultura (con la domanda sottintesa: ma la cultura rende migliori i suoi produttori ed i suoi fruitori?) e che, per gli appartenenti alla classe disagiata, diventa uno strumento per accumulare la moneta simbolica del prestigio. Il prestigio, però, si regge sull’illusione che della propria creatività si possa vivere, cosa difficilissima in una situazione economica come l’attuale, che non offre abbastanza posizioni per realizzare le aspirazioni di tutti. In un mondo in cui il conflitto tra gli imperativi sociali del successo e l’oggettività dei rapporti economici sforna quotidianamente falliti e dove la notorietà si misura in minuti (è sufficiente una sgraziata presenza di un quarto d’ora su qualche social forum), il cantante, il musicista, il pittore, lo scrittore, tutti bravissimi ed impegnati artigiani (artigiani, non artisti: l’artista ha talento e con il talento fai quello che vuoi, mentre con l’impegno fai quello che puoi) della cultura, passano la propria vita a dimostrare agli altri e, soprattutto, a se stessi, che ciò che li occupa non è un hobby, ma un vero e proprio lavoro.
La classe disagiata è dunque un coacervo di donne e uomini nati fra il 1970 ed il 1999 decisi a rimandare l’età adulta accumulando lauree triennali, master, esperienze artistiche di vario genere, viaggi all’estero, tirocini gratuiti e lavori temporanei o poco gratificanti, in attesa che le promesse vengano finalmente mantenute; è una categoria costituita da vittime di una strana “disforia di classe” che li porta a vivere al di sopra dei loro mezzi per ostentare uno stile di vita che attesti la loro appartenenza alla borghesia.
Si tratta di un ceto rovinato dalla mancata redistribuzione della ricchezza, cosa che provoca pure la disuguaglianza all’interno della stessa fascia d’età (soprattutto tra i 18 ed i 24 anni), e che non ha abbastanza soldi e abbastanza prospettive per consumare ed alimentare la produzione; è una classe disagiata “troppo ricca per rinunciare alle proprie aspirazioni, ma troppo povera per realizzarle”, conclude Ventura.

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