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La lotta quotidiana di 3P contro la mafia

Francesco Deliziosi (a cura di)
Se ognuno fa qualcosa si può fare molto
Le parole del prete che fece paura alla mafia
Bur, Milano 2018
pp. 560 - euro 18

Parole chiave: Libro (65), Recensione (25), Mafia (8)
La lotta quotidiana di 3P contro la mafia

Questo sabato 15 settembre, per il venticinquesimo anniversario del martirio di don Pino Puglisi, papa Francesco sarà a Palermo. Cinque anni fa per la beatificazione del sacerdote che aveva condotto la sua battaglia alla criminalità organizzata nell’estrema periferia del capoluogo siciliano, c’erano quasi 80mila persone; oggi, a raccontare il percorso spirituale e il suo ministero, portato avanti sino all’arrivo dei sicari che nella notte del 15 settembre 1993 lo uccisero sulla porta di casa, è Se ognuno fa qualcosa si può fare molto. Le parole del prete che fece paura alla mafia, volume di oltre cinquecento pagine curato dal giornalista Francesco Deliziosi.
L’autore, caporedattore centrale del Giornale di Sicilia, ha voluto ricostruire il percorso spirituale di questo martire della Chiesa attraverso scritti, testimonianze e parole della stessa vittima della mafia. «L’ignoranza conviene a chi vuole che l’illegalità continui», diceva mentre chiedeva che a Brancaccio, quartiere di 12mila anime, fosse aperta almeno una scuola media. Intanto organizzava i campiscuola tentando di sottrarre i ragazzi alle truppe della mafia. Per questo padre Pino Puglisi, 3P (come lui si stesso amava chiamarsi) è stato assassinato. La sua era l’antimafia vera e non di facciata, perché il suo era un lavoro svolto nella quotidianità, senza compromessi, senza protagonismi, senza vetrine mediatiche, testimoniando giorno per giorno la fedeltà al suo ministero sacerdotale e l’amore per gli altri. A distanza di 25 anni, soprattutto alla luce degli ultimi episodi di cronaca che hanno svelato l’esistenza dell’antimafia inconcludente e di facciata, alcune sue parole paiono profetiche. È il caso, ad esempio, del discorso pronunciato il 3 febbraio 1993: «È importante parlare di mafia, soprattutto nelle scuole, per combattere la mentalità mafiosa. Non ci si fermi, però, ai cortei, alle denunce, alle proteste. Tutte queste iniziative hanno valore, attenzione, non vorrei essere frainteso; hanno valore, ma se ci si ferma a questo livello sono soltanto parole. E le parole devono essere convalidate dai fatti».
E infatti don Pino Puglisi era passato ai fatti. Nel luglio del 1991, con trenta milioni di vecchie lire donate dall’allora cardinale Pappalardo, aveva firmato il compromesso per l’acquisto di una palazzina a Brancaccio che avrebbe ospitato il centro di accoglienza intitolato “Padre Nostro” (il cui portone, il 2 giugno 2003, venne murato con dei calcinacci). Sei mesi di tempo per raccogliere altri 260 milioni. I soldi arrivarono da altri quartieri, non da Brancaccio, dove don Pino era nato il 15 settembre 1937 da Carmelo, calzolaio, e Giuseppa Fana, sarta. E padre Puglisi rifiutò la donazione del costruttore Giovanni Ienna, poi fermato perché prestanome dei capimafia Filippo e Giuseppe Graviano, arrestati il 26 gennaio 1994 – e poi condannati all’ergastolo – perché mandanti dell’omicidio del sacerdote.

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