In famiglia, a scuola, nella società: educare ai sentimenti. O gli omicidi...
Ogni 3 giorni viene uccisa una giovane donna: ecco perché, ecco che fare
Nel 2023, fino ad oggi, mediamente ogni tre giorni è stata uccisa una donna per mano di un uomo, di età compresa tra i 18 e i 35 anni, il quale molto spesso ha fatto parte della sua vita sentimentale. Quasi sempre questi soggetti che uccidono vengono descritti da familiari e conoscenti come ragazzi/uomini perbene, educati e gentili e tutti si rimane increduli di fronte a tali profili che sono completamente in antitesi con le azioni di estrema crudeltà compiute ai danni delle loro “amate”.
Finora a livello politico si è cercato di arginare il problema promulgando norme giuridiche più severe; ma i fatti ci confermano che queste misure non sono sufficienti. Come persona che ha lavorato per più di quarant’anni nella scuola, ritengo che la prevenzione primaria vada effettuata mediante l’educazione che i genitori devono impartire ai loro figli.
In famiglia è fondamentale che i padri siano più presenti e rispettino profondamente le mogli e le figlie, in modo da dare un esempio concreto ai figli maschi di come vanno trattate le donne. Le madri devono cercare di non trasmettere stereotipi di genere, con richieste sempre molto impegnative ed esigenti nei confronti delle figlie e troppo accondiscendenti verso i figli maschi, con i quali stabiliscono molto spesso rapporti fusionali che sono deleteri, perché impediscono ai ragazzi di sapersi separare e individuare come persone autonome e responsabili.
I genitori hanno il dovere di saper dire dei salutari “no”, assumendo ruoli autorevoli e non amicali ed evitando di spianare tutte le difficoltà che i figli incontrano a casa, a scuola, o durante la partecipazione alle attività del loro tempo libero. Tutti i bambini infatti fin da piccoli – indipendentemente dal loro sesso – vanno aiutati a saper rispettare le regole, che sono delle “separazioni” dal loro senso di onnipotenza, dal narcisismo, e permettono di allenarli alla frustrazione.
È mediante l’elaborazione delle frustrazioni che i piccoli, una volta diventati grandi, sapranno accettare i vari “no” senza entrare in una crisi esistenziale: crisi che sembra colpisca prevalentemente i maschi, i quali, davanti ad un diniego da parte di una donna nel continuare una relazione e sentendo minato il loro senso di onnipotenza, vengono portati ad eliminare anche fisicamente colei che provoca un dolore che non sono stati abituati a sperimentare e a gestire mediante la tolleranza alle regole che sviluppa l’autocontrollo.
Paradossalmente le femmine risultano più forti e determinate rispetto ai maschi i quali appaiono sempre più fragili e vulnerabili, perché nella loro esistenza hanno molti modelli con cui identificarsi sia a casa, dato che alle madri è delegata quasi totalmente l’educazione, e soprattutto durante il percorso scolastico.
Nei nidi e nelle scuole dell’infanzia i docenti maschi sono una eccezione, nelle primarie una rarità, nelle secondarie di primo e secondo grado sono in via di estinzione. Non credo che per risolvere questo dannoso problema basti dare, a parità di punteggio, la precedenza ai candidati maschi nel concorso per diventare dirigenti scolastici, dato che questo ruolo viene svolto attualmente da una stragrande maggioranza di donne (peraltro quando ho sentito questa proposta, formulata dal governo, mi sono chiesta se sarà estesa a favore delle donne, in quei settori dirigenziali dove sono in minoranza o del tutto assenti). Bisogna invece chiedersi come far ritornare gli uomini a scegliere la professione di insegnante che progressivamente è stata abbandonata quando si è andato perdendo il prestigio sociale ed economico che questo ruolo aveva nel passato.
Sono stata sempre una grande fautrice nell’introduzione a scuola dell’educazione al sentimento, che va a toccare i temi dell’affettività e della sessualità. Ritengo insufficiente che un’ora di educazione al sentimento venga inserita alle superiori e auspico che normativamente si formalizzino dei percorsi obbligatori su questi aspetti, evitando di lasciarli alla discrezionalità e alla sensibilità individuale dei vari dirigenti scolastici.
I genitori e gli alunni devono pertanto avere, nel contesto scolastico, il supporto su tali temi da parte di équipe psico-socio-pedagogiche, le quali stabilmente possano, in collaborazione con i vari team docenti, elaborare dei progetti idonei ad affrontare la dimensione affettiva e relazionale tra sessi, a partire dai nidi e differenziandoli per le varie fasce dell’età evolutiva, fungendo da sostegno al ruolo genitoriale nell’educazione dei figli e nel prevenire la trasmissione, spesso inconsapevole, di stereotipi culturali di genere.
Il quadro, per risolvere il fenomeno del femminicidio, è molto complesso; ma anche i social e tutti i mezzi di comunicazione possono svolgere un ruolo significativo evitando di divulgare filmati con scene di violenza fisica e verbale o di promuovere programmi dove non si propongono esempi adeguati di comportamento.
Tutti siamo educatori e nei nostri atteggiamenti dobbiamo impegnarci a testimoniare il rispetto nei confronti dei nostri interlocutori, soprattutto se ci mostriamo in televisione e siamo dei politici o degli opinionisti. In attesa che l’operato di tutte le istituzioni, mediante i cambiamenti auspicati, dia i frutti sperati, dobbiamo insegnare a tutte le donne, indipendentemente dalla loro età, a sviluppare un “sano egoismo”, prendendo le distanze da uomini che vogliono controllare la loro vita o che le offendono moralmente o fisicamente.
Va messa al bando la diffusa tentazione che hanno le donne, a causa di una inadeguata educazione, di fare le crocerossine e di prendersi cura di uomini manipolatori e violenti, i quali devono imparare a risolvere i loro problemi rivolgendosi a professionisti competenti.
Elisabetta Peroni
già dirigente scolastica
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