L'angolo del Diritto
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Insultare il datore di lavoro tramite i social è diffamatorio: licenziamento confermato

La Corte di Cassazione, con una sentenza del 13 ottobre scorso, ha dichiarato legittimo il licenziamento del dipendente che aveva insultato i vertici e i superiori dell’azienda datrice di lavoro tramite tre e-mail e un post su Facebook...

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Insultare il datore di lavoro tramite i social è diffamatorio: licenziamento confermato

La Corte di Cassazione, con una sentenza del 13 ottobre scorso, ha dichiarato legittimo il licenziamento del dipendente che aveva insultato i vertici e i superiori dell’azienda datrice di lavoro tramite tre e-mail e un post su Facebook. I fatti risalgono al 2016, quando l’azienda aveva licenziato per giusta causa il dipendente, ritenendo il contenuto del post e delle e-mail gravemente offensivo e sprezzante. Tale comportamento, secondo il datore di lavoro, rappresentava anche atto di insubordinazione grave. Il licenziamento è stato impugnato dal lavoratore davanti al Tribunale, che però ha dato ragione all’azienda datrice di lavoro. Il dipendente non ha accettato la decisione del Tribunale di primo grado ed è ricorso alla Corte d’Appello la quale, tuttavia, ha confermato le conclusioni del giudice di primo grado dando rilievo al contenuto fortemente offensivo e sprezzante dei messaggi del lavoratore. Per la Corte d’Appello da questi contenuti emerge la grave insubordinazione del dipendente, che giustifica il licenziamento per giusta causa. Con la sua condotta, infatti, il lavoratore ha cancellato definitivamente il rapporto fiduciario necessario per poter proseguire il rapporto di lavoro. Il dipendente, successivamente alla decisione della Corte d’Appello, ha proposto ricorso alla Corte di Cassazione e si è difeso dicendo che il post era destinato alla comunicazione esclusiva con i propri “amici” (di Facebook) e quindi che la stessa sarebbe stata riservata e conseguentemente incompatibile con la denigrazione o la diffamazione erroneamente considerata tale dal datore di lavoro. La tesi non ha convinto i giudici, che hanno ritenuto il mezzo utilizzato, ossia la pubblicazione sul profilo personale del social, idoneo a determinare la circolazione del messaggio tra un gruppo indeterminato di persone. La condotta del dipendente integra gli estremi della diffamazione e costituisce giusta causa di recesso, siccome idonea a ledere il vincolo fiduciario nel rapporto di lavoro. Inoltre, il dipendente era stato accusato anche di insubordinazione, che da sola giustifica l’estinzione del rapporto lavorativo. Infatti, per la Corte di Cassazione la nozione di insubordinazione non è limitata al solo rifiuto del lavoratore di adempiere alle disposizioni impartite dai superiori ma deve essere estesa a qualsiasi altro comportamento diretto a pregiudicare l’esecuzione e il corretto svolgimento di dette disposizioni nel quadro dell’organizzazione aziendale.
Avv. Silla Grava, Avv. Monica Fanton

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