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Dialogare per capirsi meglio

Ironia e disponibilità al dialogo. Queste le due caratteristiche che hanno reso possibile un’amicizia apparentemente impensabile: quella tra Carlo Maria Martini (1927-2012) e la giornalista Silvia Giacomoni, morta all’età di 87 anni lo scorso 15 marzo. A suggellarla il libro Diavolo d’un cardinale...

Parole chiave: don Luca Passarini (1), Editoriale (423)
Dialogare per capirsi meglio

Ironia e disponibilità al dialogo. Queste le due caratteristiche che hanno reso possibile un’amicizia apparentemente impensabile: quella tra Carlo Maria Martini (1927-2012) e la giornalista Silvia Giacomoni, morta all’età di 87 anni lo scorso 15 marzo. A suggellarla il libro Diavolo d’un cardinale (Bompiani, 2021) che raccoglie trent’anni di lettere (1982-2012) tra i due. In un incontro di presentazione del libro, recuperabile on line, Giacomoni raccontava come lei «cresciuta in una famiglia di mangiapreti e senza mai rapporti con la Chiesa», fosse rimasta affascinata da quest’uomo «che era un piemontese, biblista e che non c’entrava niente con i giochi ambrosiani»: una sorta di cotta. Aveva chiesto lei stessa a Eugenio Scalfari - che fondando Repubblica non voleva certo farne una voce cattolica ma «aveva una passione indiavolata per la Chiesa da un punto di vista politico» - di poter fare un’inchiesta su di lui e poi continuare a seguirlo. Rimase estasiata per la sua eleganza, la sua preparazione intellettuale, il suo senso dell’umorismo, il suo essere fuori dagli schemi e la sua attenzione ai laici liberi, quelli che non sono più clericali dei preti stessi «che andrebbero trattati come esseri umani».
A colpire, a sua volta, Martini fu la domanda non di circostanza e scontata che Giacomoni fece alla sua prima conferenza stampa a Milano, quando - dopo aver ammesso di non sapere nulla di Chiesa - chiese se l’arrivo in quella terra di un gesuita, solitamente destinato alle missioni, fosse perché papa Giovanni Paolo II la considerasse luogo di missione. Il cardinale nel rispondere negò facendo riferimento a sant’Ambrogio e san Carlo Borromeo, nei quali però la giornalista colse «due grandi predecessori che avevano avuto la capacità di parlare [...] non solo a quelli che andavano a Messa».
Da lì nacque un confronto continuo in quanto al cardinale interessavano reazioni, pensiero e stimoli di una non credente e che lo trattava, appunto, da essere umano, cogliendone anche la solitudine legata al suo ruolo: «Ognuno di noi due aveva il suo spazio, il suo livello, il suo mondo, però misteriosamente le cose che gli dicevo del mio livello che mi sembrava assolutamente basic, servivano per il suo livello che mi sembrava straordinariamente elevato». Concludeva Giacomoni: «Probabilmente è così in tutto il lavoro intellettuale serio».
Un’amicizia che ha testimoniato un pensiero fisso di Martini: ovvero che, pure nel cammino della fede e della ricerca delle risposte più vere, la vera differenza la fa la disponibilità a pensare e a lasciarsi inquietare.

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