Tutti chiamati ad evangelizzare
Siamo cristiani, ma cosa vuol dire essere cristiani? Credere in Cristo, certo, credere che Lui è il Figlio di Dio, è via, verità e vita, ma vuol dire anche annunciarlo, proclamare la Buona Notizia, il Vangelo. Questa è l’evangelizzazione, non una questione di numeri o di partigianeria (siamo di più, siamo di meno), ma una questione di vita perché se ho incontrato Gesù e ho capito qual è il suo Vangelo, la Buona Notizia, allora desidero che anche gli altri la conoscano...
Siamo cristiani, ma cosa vuol dire essere cristiani? Credere in Cristo, certo, credere che Lui è il Figlio di Dio, è via, verità e vita, ma vuol dire anche annunciarlo, proclamare la Buona Notizia, il Vangelo. Questa è l’evangelizzazione, non una questione di numeri o di partigianeria (siamo di più, siamo di meno), ma una questione di vita perché se ho incontrato Gesù e ho capito qual è il suo Vangelo, la Buona Notizia, allora desidero che anche gli altri la conoscano. Ma siamo ancora efficaci, fecondi nell’annunciare il Vangelo? È questa la domanda che dobbiamo porci come singoli, ma soprattutto come comunità. Perché forse siamo efficienti, cioè capaci di organizzare, di strutturare, di ritrovarci, di discutere, ma efficaci? Capaci di testimoniarlo questo Vangelo, non solo con le parole, ma prima di tutto con la nostra vita? Con l’esempio? Queste, chiaramente, non sono domande a cui si può rispondere con un sì, con un no o con un elenco di cose fatte, ma l’unica risposta è la prassi, la quotidianità, dove ogni occasione è buona per essere motivo di annuncio da vivere in modo nuovo e pieno, in comunione e carità, affinché chi ci incontra possa poi dire di aver davvero sentito la Buona Notizia e abbia fatto un’esperienza di incontro con Cristo.
È come per il matrimonio o per la vocazione sacerdotale o per qualunque altra vocazione il Signore ci ponga di fronte, non è mai una scelta che si esaurisce in un sì detto una volta. Certo, quel sì è importante, anzi è fondamentale perché è su quello che poi, ogni giorno, ogni momento ripetiamo il nostro sì. Ma dire sì a una vocazione significa poi viverla concretamente. Dire sì a mia moglie ha significato e significa dire no a tutte le altre donne. Dire sì a Gesù significa cercare di vivere alla sua sequela ogni giorno, significa annunciare l’amore che Lui annunciava, che Lui ci ha fatto scoprire, così che chiunque ci incontri si chieda: ma questo amore da dove arriva? Questa comunione come è possibile? Per i primi 300 anni della sua storia il cristianesimo si è espanso così, non perché fosse conveniente essere cristiani, ma perché chi incontrava un cristiano si trovava di fronte a una cosa nuova che subito non capiva, ma che poi lo apriva a una realtà bella, più grande, a una comunità che, di nascosto, con grandi rischi, testimoniava l’amore per gli altri come Gesù lo ha testimoniato in ogni istante della sua vita e della sua morte, finanche oltre la morte.
Evangelizzare è un compito di tutti, non solo dei religiosi, dei sacerdoti; parlare di Gesù, annunciare la Buona Novella non è una questione che riguarda solo loro, quasi che l’unico compito dei laici sia di rispettare i precetti e ascoltare. No, a tutti è chiesto di annunciare e testimoniare il Vangelo, anzitutto con l’esempio della vita e quale migliore esempio è quello di una comunità che cammina verso una unità di spirito, di cuori e pastorale? Solo così ciò che annunciamo diventa credibile e allora anche le esperienze che si organizzano e di cui c’è bisogno portano frutto. Al contrario se prima non siamo testimoni credibili di Cristo e del suo Vangelo, allora ogni iniziativa che metteremo in piedi si rivelerà una scatola vuota, un colosso coi piedi d’argilla i cui frutti saranno pochi e magari acerbi. Unità pastorale significa mettere in comune carismi, capacità, possibilità, opportunità, ma pure fatiche, difficoltà, avendo presente che l’obiettivo, la meta è una sola: permettere anche agli altri di scoprire la bellezza della fede in Gesù Cristo, nostro Signore.
Davide Galati
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