L’ottimismo di questi giorni non deve trasformarsi in incosciente mancanza di responsabilità
Serpeggia intorno una certa euforia, festaiola e incosciente ad un tempo. Un’aria da rompete le righe, come succede ai militari dopo i tempi duri dell’intruppamento...
Serpeggia intorno una certa euforia, festaiola e incosciente ad un tempo. Un’aria da rompete le righe, come succede ai militari dopo i tempi duri dell’intruppamento. È il venticello della libertà che spira tra le fessure del nostro quotidiano, dopo i tempi insopportabili del lockdown, del restare chiusi dentro, della paura degli altri come possibili untori, della mancanza di vita sociale, fondamentale respiro di vita… Finalmente.
L’Italia è bianca, dopo la temuta policromia del passato recente, rossa, gialla e arancione. Anche i numeri mandano raggi di consolazione. È passato un giro di orologio da quando contavamo ogni giorno venti, diciotto, quindicimila nuovi infettati. E i morti a migliaia come una Caporetto senza che mai il nemico desse segno di cedimento o di aver terminato le cartucce. Uno sterminio al quale buttavamo un occhio da prefazio, per non guardare in faccia la realtà nel suo drammatico pallottoliere. Tutto questo finché non eri toccato nei tuoi affetti, quando la morte si portava via il bottino da casa tua.
Ora le cose sembrano dire altro, ma non totalmente altro. Si esulta. I nuovi contagi sono intorno a qualche migliaio giornaliero. I morti una o due decine al giorno. Praticamente nulla, se non fosse che anche i piccoli numeri sommati fanno conti dolorosi, come ci insegna l’esperienza delle piccole spese quotidiane che, a fine mese, rischiano di portare in rosso i bilanci familiari. Si respira una certa euforia, ma non per tutti, mentre progressivamente e inevitabilmente è come se venissero cancellati interi paesi e città. I numeri sono lì a ricordarlo. A fronte di oltre 4 milioni di infettati, i morti in Italia sono finora oltre 127mila.
Se oggi è possibile intonare un sommesso peana va detto, a dispetto dei contrari e dei dubbiosi, che il merito è dei vaccini. Diciassette milioni gli italiani che hanno ricevuto due dosi, un’altra decina con una soltanto. E gli altri trenta milioni di italiani? C’è ottimismo nelle dichiarazioni dei politici: arriveremo a vaccinarne il 70, 80 per cento entro poco tempo. Ma sono dichiarazioni imposte dal politicamente corretto, mentre a guardare con realismo, le conclusioni arriverebbero ad altre considerazioni. Dando la stura alla rabbia.
Come si può accettare che migliaia e migliaia di operatori sanitari, medici e infermieri, rifiutino il vaccino? Tollerare che chi dovrebbe prendersi cura della fragilità dei pazienti, rischi di diventare ulteriore causa di nuove patologie? Ma di quale democrazia vogliamo parlare, quando l’arroganza individualistica del “me ne frego” mette a rischio la vita dei più deboli?
E cosa pensare del fiume di stupidità di chi suggerisce la collana di aglio al collo, le novene alla Madonna per resistere all’obbligo di vaccinarsi, per evitare che sia modificato il Dna della nostra natura? O le esilaranti sortite di qualche prete no vax che vorrebbe insinuare analogie tra l’obbedire alla Sanità, con l’obbedienza stupida e acritica di chi accettava le leggi nazifasciste?
È in questo mare di irrazionale fragilità che l’euforia di questi giorni si stempera, fino a rischiare di trasformarsi in nuova paura e sfiducia.
La variante Delta del virus sta galoppando. Paesi come l’Inghilterra, che già avevano cantato vittoria, sono lì a leccarsi nuove ferite con numeri che crescono ogni giorno di più. In Russia le cose vanno di male in peggio. A Maiorca 800 giovani, in libera uscita dal cervello, risultano positivi, mentre assembramenti e incontri rave, a base di droga e surrogati vari, sembrano raccontare di gente che non ha appreso la lezione.
Il nemico è in circolazione, più agguerrito che mai e, gridare vittoria senza far ricorso al vaccino, più che da irresponsabili è da...
Non sei abilitato all'invio del commento.
Effettua il Login per poter inviare un commento