Come il profumo dell’amore cresce sulle ferite della guerra seminando speranza
C'è un fermento di fraternità che colpisce in questo crescendo di dolore che la cronaca ci consegna ogni giorno dall’Ucraina. Come se la violenza di Caino avesse risvegliato quella semente di bene che Dio mise dentro il primo uomo, quando gli soffiò dentro se stesso...
C'è un fermento di fraternità che colpisce in questo crescendo di dolore che la cronaca ci consegna ogni giorno dall’Ucraina. Come se la violenza di Caino avesse risvegliato quella semente di bene che Dio mise dentro il primo uomo, quando gli soffiò dentro se stesso. Non c’è comunità, istituzione, movimento che non si stia facendo carico di andare in soccorso, nei più svariati modi, alle sofferenze di questi fratelli colpiti dalla guerra. Chi raccoglie denaro, chi manda viveri, medicinali, chi va a prelevare i profughi alle frontiere, chi mette a disposizione le case vuote, chi si prende cura dei feriti, chi mette i bambini dentro le classi con compagni nuovi e accoglienti... Una solidarietà e una generosità di cuore come non si vedeva da tempo.
Scrive un teologo che i cristiani veri desiderano abitare evangelicamente la Chiesa, più che istruirla intellettualmente. Questo pensiero mi rimanda alla generazione dei miei genitori, persone senza cultura, economicamente povere, che hanno cresciuto generazioni di cristiani, semplicemente col loro esempio, fatto di sacrificio, disponibilità al prossimo e profondo senso di pietà. E mi chiedo se in questo tempo, in cui siamo tentati di levare motivati lamenti sulla condizione della Chiesa e sul suo degrado, non sia proprio da questa carità traboccante che il mondo torna ad essere abitato, a dispetto della violenza che vi si consuma, dalla forza dell’amore. Nello scenario di un deserto crescente dell’anima, è proprio il risveglio del cuore il potenziale segnale di una novità dello Spirito che torna a fecondare la storia.
Diceva Evdokimov, un gigante dell’Ortodossia russa, che “noi sappiamo dove sia Chiesa, ma non sappiamo dove non sia”. Sappiamo bene dove il Cristo viene annunciato, raccontato e celebrato, ma non sappiamo in quanti cuori si nasconda, per essere portato in giro per il mondo ad annusare il dolore umano e a soccorrerlo.
Per chi non voglia fare del cristianesimo un racconto storico, un manuale di morale o, peggio, una ideologia, è fondamentale chiedersi: cosa sta dicendo Dio a questo tempo? Cosa ci ha detto con la pandemia che ha seminato morte e povertà, mentre si prendeva beffe della nostra illusoria convinzione che la scienza stesse correndo un cammino inarrestabile e che con essa avremmo risolto tutti i problemi possibili? Ci ha messi, a muso duro, in faccia alla nostra impotenza, al limite di creature fragili e quanto mai bisognose di ritrovare il calore umano, abbandonato dalla società della fretta. E oggi, con le vicende della guerra che mordono i fianchi, lasciandoci nella paura, ci chiediamo quanto sia importante ritrovare le radici di una comune fraternità che, non solo ci risparmi la violenza, ma che ci faccia sentire il profumo dello stare bene insieme. Una provocazione capace di dare una scossa profetica ad una cultura ispirata al benessere personale solitario e animata da un’ansia di successo, giocata sulla gestione compulsiva dei social, a rincorrere un like o la speranza di avere sempre più followers.
Questo non è solo un tempo di disagi, ma prima ancora di opportunità, consapevoli che la seminagione del bene può rivelarsi ben più incisiva, a livello pedagogico, di tanti influencer in cerca di se stessi.
Vorrei sperare che la guerra fosse terminata quando avrete tra le mani queste righe. Purtroppo non c’è da illudersi, ma senza che questo spenga la forza di un sogno. Quello che il mondo prenda lezione dalla storia per tornare a sentire il fascino del bene e cominciare a camminare insieme sulla strada di una fraternità senza finzioni.
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