Bisogna ripensare alla cultura, ma davvero seriamente se vogliamo avere persone adulte
Prendiamoci il giro alla larga, partendo da una domanda. A cosa serve la cultura?
Prendiamoci il giro alla larga, partendo da una domanda. A cosa serve la cultura? Dove, per cultura, non si intende soltanto quella scolastica, letteraria o scientifica che sia. Penso all’arte in tutte le sue espressioni, pittura, scultura, musica, canto… Per rispondere a questa domanda, potremmo dire che la cultura è quell’operazione che tira fuori la persona dall’istinto, in cui è imprigionata dalla nascita, per renderla consapevole, cosciente e quindi responsabile per operare delle scelte.
Per essere ancora più brutali, diciamo che veniamo al mondo avendo molte affinità con gli animali. Sappiamo bene che nelle comunità umane primitive molti comportamenti sembrano rimandare più alla zoologia che all’antropologia. Comportamenti o ragionamenti che talvolta vediamo anche in molte espressioni della politica, quella che fa ricorso alla demagogia, per parlare alla pancia della gente, ossia per intercettarne la sua parte più istintuale e meno razionale.
Sappiamo che la cultura è un potentissimo strumento, cui fanno ricorso in maniera palese soprattutto le dittature. Si pensi al tentativo di sradicare il cristianesimo nella vecchia Unione Sovietica, con precisi indottrinamenti ideologici. O, in tempi più recenti, si pensi ai grandi investimenti che stanno facendo i Paesi Arabi in ambito artistico-culturale. Da una parte negano i diritti umani in maniera volgare e plateale, dall’altra cercano di darsi una patina di credibilità e di prestigio internazionale facendo ricorso alla bellezza per avvalorare un progresso che è come dare lo smalto sulle unghie per coprire lo sporco che sta sotto. Altre volte gli Stati fanno ricorso alla cultura per orientare le masse secondo gli obiettivi di chi governa. Sarebbe interessante chiedersi perché, a livello europeo, oggi, sia l’Ungheria a fare i maggiori investimenti in ambito culturale.
E in tutti i Paesi cosiddetti democratici? L’impressione è che la cultura interessi nella misura in cui è fonte di reddito. E così un balcone di Giulietta val più di una Biblioteca, un’Arena dove si canta molto più di un patrimonio storico o un territorio da scoprire, una scorribanda sui social molto più della lettura di un libro. Per il resto trionfa una assoluta superficialità, quasi uno snobbare tutti quei percorsi culturali capaci di trasformare una bestiola, potenzialmente pensante, in un essere umano capace di socialità e di responsabilità.
Tra due settimane andremo a votare. I dati dei sondaggi ci parlano di un grandissimo astensionismo dei giovani. I politici lo sanno e adesso, rischiando il ridicolo, si sono messi a inseguirli sui loro social, che sarebbe come se io andassi a ballare sul cubo in discoteca. Si dice che la loro disaffezione sia riconducibile al cattivo esempio dei politici stessi. Affermazione dove dentro c’è sicuramente del vero, ma anche tanto qualunquismo. I giovani sono indifferenti alla politica anche per la banalità del percorso culturale che viene loro proposto. La scuola dell’obbligo, se non trova insegnanti appassionati del loro mestiere, rischia di diventare un diplomificio, che consegna dei titoli sulla carta, dove si danno nozioni, e spesso scarse, senza fare delle persone mature e responsabili. Provate ad indagare quanto i ragazzi conoscono della storia del secolo scorso. O, peggio, chiedete loro quanto gli interessi questa storia.
Mi ponevo questi interrogativi a fronte dei crescenti fenomeni di criminalità degli adolescenti, non ultima la vicenda del ragazzino tredicenne napoletano che si suicida, buttandosi dalla finestra, perché bullizzato dai compagni. Che coscienza ha prodotto la scolarizzazione in questi ragazzi? Quale senso di responsabilità, verso di sé e verso gli altri? Ovvio che il problema è complesso e porta a cercare soluzioni su vari fronti, ma è altrettanto palese che bisognerà rivedere il concetto di cultura, se non vogliamo continuare a fare fiasco.
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