Il Calciastorie
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Lessico di guerra sul prato verde

Una partita di calcio è una piccola guerra. Si affrontano due eserciti, guidati da un generale. C’è un campo di battaglia da dominare e una sconfitta da gettare addosso all’altro schieramento che assume la forma indolore di un pallone in rete...

Parole chiave: Il Calciastorie (121), Calcio (136), Sport (139)

Una partita di calcio è una piccola guerra. Si affrontano due eserciti, guidati da un generale. C’è un campo di battaglia da dominare e una sconfitta da gettare addosso all’altro schieramento che assume la forma indolore di un pallone in rete. Non deve quindi stupire se il gergo calcistico prende molte parole in prestito da quello militare. Un tiro forte è una cannonata, un missile, una bomba. Oppure una fucilata, un bolide, una bordata (che sarebbe lo sparo simultaneo di più armi dal fianco di una nave di guerra). Un passaggio filtrante supera le linee avversarie. Un attaccante che segna nell’unica occasione che gli capita è un cecchino. Un allenatore dai metodi duri è un sergente, o come nel caso di Lobanowsky – che allenò Schevchenko alla Dinamo Kiev – un colonnello. Di tempi più recenti – ma con un riferimento più antico, a livello di conflitto – è il neologismo di un noto telecronista, per il quale i cross tagliati in mezzo sono delle sciabolate, morbide o no non cambia molto. Il numero 1 dei goleador è il capo-cannoniere o, in alternativa, il bomber. I perdenti, invece, alzano bandiera bianca, come un innocente veliero assalito dai pirati.
Nessuno si è mai scandalizzato per un linguaggio così crudo per ventidue ragazzi che corrono dietro una palla. Forse proprio perché la struttura del gioco, o quantomeno di ogni gioco che vede affrontarsi due squadre (calcio, basket, pallavolo) è quello di una guerra. Combattuta per finta, perché dopo una partita, invece della prigionia o di un’esecuzione, c’è un’altra partita. Alla peggio, una retrocessione. Fucilate, bordate, cecchini e quant’altro sono parole che assumono tutt’altro peso per Varazdat Haroyan, capitano della nazionale armena nelle due partite contro l’Italia dello scorso anno. Il trasferimento alla squadra greca del Larissa era cosa fatta. Almeno fino a quando al calciatore non è stata interrotta di colpo la carriera. Non per un infortunio o un improvviso ripensamento del suo nuovo club. Semplicemente – ma tanto semplice non è – Varazdat è stato richiamato alle armi, vista la situazione a dir poco problematica al confine tra Azerbaigian e Armenia, con la minaccia della Turchia sempre più presente. Reclutato, come tutti i cittadini sotto i 40 anni, per prepararsi a una guerra che speriamo diventi presto solo un ricordo. Chissà quando, da quelle parti, si tornerà a parlare di cannonate e fucilate per riferirsi soltanto a un campo di pallone.

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