“Il Mozart del pallone” resistette al nazismo
Forte come lui, ai tempi, c’erano solo Giuseppe Meazza e pochi altri. Matthias Sindelar lo chiamavano “il Mozart del pallone” e non solo perché era austriaco. Non era bastato un infortunio al ginocchio a inizio carriera – curato con la chirurgia approssimativa dell’epoca – per fermarlo...
Forte come lui, ai tempi, c’erano solo Giuseppe Meazza e pochi altri. Matthias Sindelar lo chiamavano “il Mozart del pallone” e non solo perché era austriaco. Non era bastato un infortunio al ginocchio a inizio carriera – curato con la chirurgia approssimativa dell’epoca – per fermarlo. La stella dell’Austria Vienna era lui. La portò a essere una delle squadre più forti del continente: non esisteva la Champions League, ma la Coppa dell’Europa Centrale sì, e la vinse due volte. Era forte anche la sua nazionale, ma non così la nazione, che nel 1938 non poté nulla contro l’invasione da parte della Germania di Hitler. Per far passare il messaggio che si trattava di un abbraccio tra popoli, e non di una conquista tedesca, il 3 aprile a Vienna si giocò la “partita della riunificazione”. Poi, almeno sulla carta, si sarebbe ufficialmente compiuto il passaggio dei migliori calciatori austriaci alla nazionale tedesca (quella austriaca, in nome della “riunificazione”, non avrebbe avuto più ragione di esistere). Una partita amichevole, quindi. Una partita nella quale, con un po’ di mestiere, l’Austria avrebbe dovuto lasciare spazio alla Germania, forte sul campo da gioco come nello scacchiere internazionale. Non andò così. Capitan Sindelar la combinò grossa. Segnò l’1-0 (poi il suo compagno Karl Sesta raddoppiò) e a fine incontro si rifiutò di fare il saluto nazista, lui che al partito nazista non si iscrisse mai. Amava Camilla, una ragazza ebrea di Milano. Vennero trovati morti nell’appartamento, il 23 gennaio 1939, a causa di un avvelenamento da monossido di carbonio. Forse non fu una morte accidentale, e i motivi per pensarlo non sono pochi, ma non lo sapremo mai. Di certo bastò quel gol, accompagnato da una esultanza niente affatto “amichevole”, a renderlo nemico del regime. Non accettò di entrare nelle fila della nazionale di Hitler, lui che la guerra la odiava e che per la guerra – quella sull’Isonzo – aveva perso il padre. La sua vita finì a 39 anni ancora da compiere. E forse, sì, la sua storia andrebbe raccontata per la Giornata della memoria, non due settimane dopo. Colpa di chi scrive questa rubrica senza avere un po’ di accortezza per le ricorrenze. Ma la memoria vale più di un giorno, e allora non è mai tardi per dire che ci fu chi al boato delle bombe seppe contrapporre una musica di resistenza alla guerra. Su un campo di calcio, “il Mozart del pallone”, ci riuscì eccome.
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