Manzoni, Salgari e De Amicis: tre diverse vicende editoriali
Non sempre gli autori riescono a trarre il giusto profitto dalle loro opere. Anche Alessandro Manzoni, prima che in Italia venisse introdotta la legge sul diritto d’autore, dovette difendersi, ma fu una battaglia perduta, dalle copie pirata del Romanzo...
Non sempre gli autori riescono a trarre il giusto profitto dalle loro opere. Anche Alessandro Manzoni, prima che in Italia venisse introdotta la legge sul diritto d’autore, dovette difendersi, ma fu una battaglia perduta, dalle copie pirata del Romanzo. Ce lo racconta Giovanni Macchia in un saggio “Quella sera, in via Morone” (G. Macchia, Manzoni e la via del romanzo, Adelphi, 1994) ricordando la visita che il 1° marzo del 1837 il giovane Balzac fece al Gran Lombardo nella sua dimora di Milano, ora trasformata in museo. Allora per ridurre il fenomeno della contraffazione libraria si invocava una convenzione internazionale tra le potenze, misura che venne varata e approvata nel 1886 a Berna da molte nazioni che riconobbero reciprocamente il diritto d’autore. Anche Manzoni, scrive Macchia, cedette alla tentazione di diventare editore di sé stesso e fu un disastro. L’edizione del 1840-42 dei Promessi Sposi, con le illustrazioni di Francesco Gonin e la “Storia della colonna infame” in appendice, fu piratata, specialmente a Napoli, e al Manzoni rimasero tanta amarezza e poche briciole. Tutto questo, nonostante il grande successo dell’opera che influenzò direttamente letteratura e giornalismo.
Tra gli epigoni manzoniani due autori, Emilio Salgari (Verona 1862 - Torino 1911) ed Edmondo De Amicis (Oneglia 1846 - Bordighera 1908), ebbero con gli editori vicende del tutto contrapposte. Scrissero entrambi libri per ragazzi, un mercato promettente e ricco per chi lo sapeva sfruttare, e proprio nei rapporti con gli editori emerge tutta intera la loro personalità. Salgari, da sempre considerato ingiustamente un minore, ebbe tuttavia il merito indiscusso di aver rinnovato profondamente la letteratura per ragazzi. La sua vita fu travagliata da angustie economiche e guai familiari. Scrisse un’ottantina di romanzi e oltre 150 racconti, continuamente ristampati e dei quali, economicamente, gli rimasero solo le briciole. L’incapacità di gestire i rapporti con gli editori e la rinuncia alla percentuale sul prezzo di copertina avevano decretato un’esistenza di stenti per Salgari, che aveva sempre scritto a mensile fisso. Finì tristemente, il 25 aprile del 1911, a soli 49 anni, con un gesto di ribellione suicidaria “di eroica protesta contro una realtà inadeguata”.
Completamente diverso il quadro che offre De Amicis. Il solo celeberrimo Cuore, uscito nel 1886, l’anno della Convenzione di Berna, gli consentì di incassare un bastimento di lacrime e quattrini, solo che si pensi che l’editore Treves, con cui aveva pattuito il 10% sul prezzo di copertina, dopo due anni gli dovette versare un anticipo di 40mila lire di allora. La metà circa di quanto, secondo il figlio Omar, guadagnò Salgari in tutta la sua vita. Naturalmente Cuore fu continuamente ristampato a ritmi vertiginosi: nel 1910, due anni dopo la morte di De Amicis, arrivava già a mezzo milione di copie, e nei primi due mesi di edizione giunsero ben 18 richieste di traduzione che salirono presto a 25. Sulle traduzioni, De Amicis, da buon ligure, aveva giocato un brutto tiro agli editori Treves e si era riservato ulteriormente i diritti. Altro bastimento di “palanche” per gli eredi.
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