La prima volta che entrai nella redazione del giornale
Ci sono date o eventi, grandi e piccoli, che cambiano la vita. Nel mio piccolo è capitato quasi 30 anni fa, nel giugno del 1991, quando per un caso fortuito (o provvidenziale?) sono entrato nella famiglia di Verona Fedele, di cui sono, al momento, uno dei corrispondenti con la maggiore anzianità di servizio...
Ci sono date o eventi, grandi e piccoli, che cambiano la vita. Nel mio piccolo è capitato quasi 30 anni fa, nel giugno del 1991, quando per un caso fortuito (o provvidenziale?) sono entrato nella famiglia di Verona Fedele, di cui sono, al momento, uno dei corrispondenti con la maggiore anzianità di servizio. Come è cominciato? Facciamo un passo indietro: quando mi sono sposato, come a tutte le nuove coppie, il direttore don Walter Pertegato aveva deciso, d’accordo coi parroci, di inviare in abbonamento gratuito il giornale per un anno. L’esperimento era andato bene e poi avevo deciso sempre di rinnovare. Ben presto in famiglia erano arrivati due bimbi, c’era stato molto da correre per i concorsi di Stato e poi per altri impegni: un decennio se n’era andato di volata. Di striscio, quell’anno, era la tarda primavera del 1991, dovevo ancora rinnovare l’abbonamento a Verona Fedele. Arrivò il primo sollecito, poi il secondo, poi non mi ricordo più quanti ne mandava il mite e paziente Armando Vesentini, per molti anni al bancone d’ingresso del giornale, prima di gettare la spugna e dichiararsi vinto. Ad un certo punto la decisione di andare di persona. Nella sede di via Pietà Vecchia incontro il diacono Franco Costa, un mio carissimo amico dell’Azione Cattolica. In breve chiude la pratica e poi mi invita a visitare la redazione. La prima cosa che mi attrae è un’incredibile catasta di libri, nuovi, ancora cellofanati. Gli chiedo: «E questi? Ma non li legge nessuno?». Franco mi risponde: «Se vuoi puoi prendertene un paio. Qualche volta qualcuno viene recensito, ma non spessissimo. D’altronde, ce li mandano e don Walter non dice di no a nessuno». Detto, fatto: dalla catasta prendo una vita di padre Mariano, “annunciatore televisivo del Vangelo”, scritta da Mariano D’Alatri, appena edita dalle Paoline. Poi saluto e me ne vado. Alla sera, pioveva, apro il libro e mi metto a sfogliarlo. In breve, non lo mollo più fino all’ultima pagina. Una biografia non agiografica, non il solito santino edificante del primo predicatore televisivo che l’Italia ha avuto. Mi colpisce soprattutto un capitolo, “Essere qualcosa di Cristo”, dove il coltissimo professore di greco Paolo Roasenda, divenuto frate cappuccino, disegna una tormentata e adulta sequela Christi. Colpito e affondato. Da quel momento non mi stacco più dal libro. Comincio a pensare: e se scrivessi qualcosa? Magari una recensione? Non scrivevo dai tempi della tesi. Ovvio, correggevo molti compiti dei miei ragazzi a scuola, compilavo le relazioni finali. Ma scrivere, no. In breve: quando andai in redazione a rinnovare l’abbonamento era venerdì. Il martedì mi presentai con la recensione del libro fatta e finita. Franco Costa la lesse e la portò al direttore. Il mitico don Walter Pertegato la squadrò, rilesse il testo da cima a fondo e poi la girò a Piera Donà, che allora lavorava alla pagina della cultura. In una decina di giorni il pezzo uscì e fu notato da molti che me lo fecero sapere. Don Walter volle che continuassi e don Bruno Fasani, allora vicedirettore, accettò di farmi da tutor e seguire i miei primi passi. In fondo, il primo libro che recensii era la storia di un professore che poi riuscì a parlare all’Italia intera col suo “Pace e bene a tutti”, entrato nella memoria collettiva. E, a ripensarci ora, tutto è nato da un atto di carità. Leggere qualcosa a qualcuno è nuda carità, una delle forme più alte. Me lo ricordava sempre don Walter.
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