I campiscuola di Ac a San Giovanni in Loffa palestra per più generazioni
L’amico Bepo Merlin, sull’onda di una sua rassegna personale di “amici e maestri” in cui allinea don Gino Oliosi, don Lino Beghini, don Giovanni Giusti e il professor Emilio Butturini («Direte: ma sono quasi tutti preti! Ho avuto la fortuna di trovare molte brave persone!») mi spinge a ricordare una stagione straordinaria che negli anni ’70 ebbe come scenario la casa dell’Azione Cattolica a San Giovanni in Loffa.
L’amico Bepo Merlin, sull’onda di una sua rassegna personale di “amici e maestri” in cui allinea don Gino Oliosi, don Lino Beghini, don Giovanni Giusti e il professor Emilio Butturini («Direte: ma sono quasi tutti preti! Ho avuto la fortuna di trovare molte brave persone!») mi spinge a ricordare una stagione straordinaria che negli anni ’70 ebbe come scenario la casa dell’Azione Cattolica a San Giovanni in Loffa.
D’estate vi si svolgevano, con turni settimanali, i campiscuola che venivano organizzati in base alle segnalazioni delle parrocchie. I partecipanti, o con mezzi propri o partendo con la corriera da Piazza Isolo, raggiungevano la località di San Giovanni, in Comune di Sant’Anna d’Alfaedo, tuffata in una pineta ricca di profumi del bosco, con la suggestiva chiesetta romanica, luogo privilegiato delle celebrazioni comunitarie: spesso un respiro nell’afa della città. La giornata era regolata da momenti di preghiera, di riflessione e, come si diceva allora, di “deserto”. Una categoria che arrivava ai gruppi di Azione Cattolica anche attraverso i libri di un suo storico presidente nazionale Giac, Carlo Carretto (1910-1988), che era diventato, in età matura a 44 anni, piccolo fratello di Charles de Foucauld e con una resezione netta dalla sua vita precedente (“il faut faire une coupure”, bisogna operare un taglio netto, gli aveva detto il maestro dei novizi) si era ritirato nel deserto del Sahara. Le sue Lettere dal deserto, stampate dal 1964 in poi in innumerevoli edizioni da La Scuola di Brescia avevano fatto epoca. “Deserto non significa assenza di uomini, ma presenza di Dio”, ha lasciato scritto fratel Carlo. Anche a San Giovanni, dopo l’impostazione della mattina, ognuno si ritirava per un po’ nella pineta e rifletteva sul tema del giorno, poi le conclusioni in gruppo. Una dinamica che non poteva essere sostenuta senza un’adesione leale e sincera dei partecipanti. Non si può barare con Dio. E tutto questo poi diventava discussione, confronto, ricerca dell’altro e anche di se stessi.
Erano anni di grande effervescenza: il Concilio Vaticano II si era concluso da poco e la sua applicazione nelle “comunità locali”, come si diceva allora con un nuovo tentativo di definire le storiche strutture parrocchiali, in molte situazioni diventava problematica. La figura monocratica del parroco veniva spesso messa in discussione, si affacciava il tema vitale della presenza dei laici come parte integrante e attiva della vita ecclesiale, con coinvolgimenti e responsabilità sempre maggiori. E tutto questo sullo sfondo di un’Italia in rapido cambiamento. Questi snodi venivano sottolineati spesso da interventi di personalità della cultura cittadina, laica ed ecclesiastica. “Le testimonianze”, nel salone dell’assemblea, duravano tutta la mattinata e continuavano anche a tavola, preparata dalla indimenticabile “zia” Imelda.
I campiscuola furono una palestra di confronto umano, culturale, religioso e spesso anche affettivo per una generazione che vi convergeva da città e provincia, dove si era per così dire “costretti” dal contesto a parlare, a chiarire se stessi e se stessi agli altri. Molte coppie nacquero allora e rimasero legate per la vita; molti giovani maturarono lassù a San Giovanni la loro vocazione religiosa. Si vivevano anche momenti speciali, soprattutto alla sera, in cerchio con la chitarra, con la luna piena a occhieggiare sulla pineta. E per i discorsi a quattro occhi c’erano delle guide speciali: don Rino Breoni, don Giuseppe Vantini, don Franco Fiorio, monsignor Lorenzo Bellomi (1929-1996) che fu animatore della settimana prima di diventare vescovo di Trieste, e don Paolo Zuccari con tanti altri: amicizie e direzioni spirituali che poi durarono tutta la vita. Il problema di oggi è dove mandare i figli. È proprio vero: allora, come ricorda Bepo Merlin, c’erano in giro “molte brave persone”.
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