Calcio, passione e (tanti) soldi
Il progetto Superlega di calcio che ha visto aderire e 24 ore dopo sfilarsi i dodici club più titolati di Inghilterra, Spagna e Italia (con Internazionale, Juventus e Milan), è campeggiato nelle prime pagine dei quotidiani, nelle aperture dei notiziari e ha letteralmente inondato i social...
Il progetto Superlega di calcio che ha visto aderire e 24 ore dopo sfilarsi i dodici club più titolati di Inghilterra, Spagna e Italia (con Internazionale, Juventus e Milan), è campeggiato nelle prime pagine dei quotidiani, nelle aperture dei notiziari e ha letteralmente inondato i social. Sul Corriere di martedì scorso, per esempio, la prima pagina che riportava altre notizie era la numero 8, su Repubblica addirittura la 10. Covid, crisi economica, scuola nel caos, politica internazionale sull’orlo di una nuova Guerra fredda passano in secondo ordine. Politici, opinionisti e intellettuali vari imbracciano le loro bandiere – chi non ne ha mai avuta una si affretta a procurarsela – e cavalcano l’onda mediatica. Si va giù con parole minacciose e offese personali, si evocano scenari apocalittici…
Ma tutto questo can can per un semplice gioco? No, evidentemente. Anzitutto è chiaro che il calcio risulta essere la cosa più seria in questa società. E lo dicono non i tifosi che aspettano il derby per saltare, gioire o piangere al cospetto dei loro idoli, ma le cifre economiche del giro di affari “mostruoso” che è alimentato da questa passione. Numeri che stanno però cadendo in picchiata vertiginosa e che rischiano di trascinare con sé il giocattolo più bello del mondo verso un inesorabile default. Se il virus ha ridisegnato il panorama mondiale rendendo gran parte del sistema istituzionale inadeguato, qualcuno si può illudere ancora che il calcio possa rimanere tale e quale? Forse sì, ma di illusione si tratta. I nuovi proprietari dei maggiori club sono spesso stranieri, gruppi finanziari, fondi di investimento che non hanno volto e tanto meno anima sportiva. Anche i tifosi stanno mutando: il sacro fuoco che teneva occupati i primi giorni della settimana a sbeffeggiare gli avversari in caso di vittoria o a rielaborare il lutto in caso di sconfitta, e la seconda parte ad organizzare la trasferta successiva, cede il passo ad una utenza solitaria che sceglie lo show più interessante tra i titoli che offre la vetrina multimediale. Il “giuoco” richiama solo un ricordo lontano dei campetti polverosi di periferia e di parrocchia, romantico e anacronistico; un reperto conservato nella dicitura della Federazione italiana. Quello che già da tempo ci offrono è altra cosa.
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