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Alzare lo sguardo verso la speranza

In questa Ottava, che è tutto un grande giorno di Pasqua, si possono fare un po’ di conti e accorgersi in questo modo che la parola più utilizzata da diversi Pastori della Chiesa cattolica durante il recente triduo è stata “speranza”...

Parole chiave: Luca Passarini (100), Editoriale (407)
Alzare lo sguardo verso la speranza

In questa Ottava, che è tutto un grande giorno di Pasqua, si possono fare un po’ di conti e accorgersi in questo modo che la parola più utilizzata da diversi Pastori della Chiesa cattolica durante il recente triduo è stata “speranza”. Il motivo è presto detto: è ciò che più manca all’umanità oggi. Quattro anni fa avevamo provato a dirci “andrà tutto bene” per sopportare il lockdown imposto nell’emergenza Covid, ma forse proprio da lì è cominciato il declino verso la disperazione, spesso travestita da rassegnazione.
Papa Francesco, nell’omelia durante la Veglia pasquale, ha invitato a guardare con attenzione alle donne raccontate nei Vangeli la mattina del primo giorno della settimana, perché tanto ci assomigliano: si muovono verso il sepolcro, ma in realtà sono ancora ferme alla croce; c’è la luce dell’alba e tuttavia in loro domina il buio della notte; hanno in mano gli unguenti, eppure nei pensieri c’è spazio solamente per la pietra. Proprio quel masso è “il simbolo di ciò che le donne portavano nel cuore, il capolinea della loro speranza: contro di esso tutto si era infranto, con il mistero oscuro di un tragico dolore che aveva impedito ai loro sogni di realizzarsi”. Un ostacolo insormontabile con cui tanti fanno i conti, ritrovandosi prigionieri “nel sepolcro delle paure e delle amarezze” causate da sofferenze, distacchi a volte improvvisi, gesti di generosità non accolti, passi verso gli altri che hanno come risposta solo indifferenza.
Proprio queste donne ci insegnano, secondo papa Francesco, che se si vuole trovare la speranza, si deve alzare lo sguardo, lasciarsi prendere per mano da Gesù e camminare “nella certezza che sul fondo oscuro delle nostre attese e delle nostre morti è già presente la vita eterna che Egli è venuto a portare”.
Pure il messaggio del presidente e segretario generale della Cei ha evidenziato l’appello a “uomini e donne che vivono le più grandi ragioni di vita e di speranza” in un mondo deturpato, in un tempo triste, “in cui la morte occupa le pagine dei giornali”. E da qui l’invito a non essere spettatori, ma attori che si impegnano “a porre segni concreti di vita là dove c’è morte, a trasformare in luoghi di pace le terre oggi segnate dall’inimicizia”.

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