Condiscepoli di Agostino
stampa

Nella sua vita terrena l’uomo è più morente che vivente

La morte, si sa, non risparmia nessuno. Né da giovane, né da ultracentenario. Agostino ne affronta e focalizza il tema nel secondo ambito della sua riflessione sulla città di Dio, quello che riguarda l’origine metafisica delle due città...

Parole chiave: Aforismi (57), Sant'Agostino (190)

La morte, si sa, non risparmia nessuno. Né da giovane, né da ultracentenario. Agostino ne affronta e focalizza il tema nel secondo ambito della sua riflessione sulla città di Dio, quello che riguarda l’origine metafisica delle due città. Questo il suo esordio sull’argomento: “Da quando uno ha cominciato ad esistere in questo corpo destinato a morire, mai nulla non viene fatto in esso perché venga la morte” (De civitate Dei 13,10). Come a dire che nulla si riesce a fare per impedire alla morte di avere il sopravvento. Agostino continua con espressioni mozzafiato: “Non vi è nessuno che le sia più vicino l’anno dopo rispetto all’anno precedente, domani rispetto ad oggi e oggi rispetto a ieri. Tutto il tempo che si vive viene sottratto allo spazio del vivere, e ogni giorno diventa sempre meno ciò che resta, così che il tempo di questa vita non è assolutamente altro se non una corsa verso la morte. E in questa corsa a nessuno è consentito di soffermarsi un pochino o di andare alquanto più lentamente, ma tutti sono incalzati da un impulso uguale. Di conseguenza, chi fino alla morte percorre spazi di tempo più lunghi non cammina più lentamente, ma compie un viaggio più lungo” (Ivi). A questo punto, anticipando il pensiero del poeta Leopardi di ben quattordici secoli, Agostino stigmatizza il rapporto tra vita e morte con questa espressione: “certamente, da quando comincia ad essere in questo corpo, l’uomo è nella morte” (Ivi). Il Leopardi dirà nel Canto notturno di un pastore errante dell’Asia: “Dentro covile o cuna – è funesto a chi nasce il dì natale”. In altre parole: il giorno della nascita evoca il giorno del funerale! In tono di realismo, segnato da senso di un certo pessimismo, che riscatterà radicalmente nell’ultima fase della sua opera, Agostino prosegue: “Dal momento che l’uomo non può essere simultaneamente e in vita e in morte, di conseguenza, mai è nella vita, per il fatto che finché è in questo corpo è più moriente che vivente. O piuttosto è nello stesso tempo in vita e in morte: nella vita in cui vive, finché non gli sia del tutto sottratta; nella morte, perché già muore finché la vita gli viene detratta” (Ivi). La morte dunque incombe su ogni uomo “ed è tanto molesta che non si può spiegare a parole” (De civitate Dei 13,11). Ma Agostino fissa la sua attenzione più che sulla prima morte, quella fisica, sulla morte seconda, che equivale alla condizione di inferno. Ne parla ovunque con accenti di pastore preoccupato della salvezza eterna dei suoi fedeli.

† Giuseppe Zenti
Vescovo emerito di Verona

Tutti i diritti riservati
Nella sua vita terrena l’uomo è più morente che vivente
  • Attualmente 0 su 5 Stelle.
  • 1
  • 2
  • 3
  • 4
  • 5
Votazione: 0/5 (0 somma dei voti)

Grazie per il tuo voto!

Hai già votato per questa pagina, puoi votarla solo una volta!

Il tuo voto è cambiato, grazie mille!

Log in o crea un account per votare questa pagina.

Non sei abilitato all'invio del commento.

Effettua il Login per poter inviare un commento