La santità sospinge alla missionarietà
È noto a tutti che uno dei verbi più cari a papa Francesco e da lui più frequentemente usati è “uscire”. Come a dire che la Chiesa e in essa il cristiano sono per natura missionari, sospinti dallo Spirito a far conoscere il Vangelo, e in esso Gesù Salvatore e Signore, a tutti...
È noto a tutti che uno dei verbi più cari a papa Francesco e da lui più frequentemente usati è “uscire”. Come a dire che la Chiesa e in essa il cristiano sono per natura missionari, sospinti dallo Spirito a far conoscere il Vangelo, e in esso Gesù Salvatore e Signore, a tutti. Approfondisce questo convincimento nell’Esortazione apostolica Gaudete et exsultate. E precisa subito che a farci uscire è proprio quella “compassione” verso la gente in difficoltà che in Gesù ha avuto la sua più alta espressione: “Guardiamo a Gesù: la sua compassione profonda... lo spingeva ad uscire da sé con forza per annunciare, per inviare in missione, per inviare a guarire e a liberare” (Ge 131). E subito invita a metterci nelle mani di Gesù che ci dà il coraggio della missione, affermando che “l’audacia e il coraggio apostolico sono costitutivi della missione” (Ivi). E ancora una volta riprende e rilancia il termine parresia come “sigillo dello Spirito” (Ge 132) per la missione di cui occorre gloriarci in quanto portatori di un bene in assoluto il più necessario all’uomo di tutti i tempi. Anche gli apostoli sono stati tentati di chiudersi in se stessi, ma hanno pregato Dio di concedere loro il dono della parresia, cioè quella spinta interiore incoercibile ad annunciare il Vangelo che nessuna difficoltà riusciva a domare. Del resto, osserva il Papa, solo l’uscita ci ossigena l’animo: “Ricordiamoci che ciò che rimane chiuso alla fine sa odore di umidità e ci fa ammalare” (Ge 133).
È vero che siamo un po’ tutti presi dalla paura dell’uscire e preferiamo starcene al sicuro, nel nostro piccolo mondo, ben sistemati, barricati nelle normative e nelle sicurezze, magari nostalgici e pessimisti, come era accaduto al profeta Giona (Cfr Ge 134). Ma “Dio è sempre novità, che ci spinge continuamente a ripartire e a cambiare posto per andare oltre il conosciuto, verso le periferie e le frontiere... Dio non ha paura! Va sempre al di là dei nostri schemi... se oseremo andare nelle periferie, là lo troveremo: Lui sarà già lì” (Ge 135). Dunque l’impresa dell’uscire non è nostra, fatta in solitudine. È di Cristo e noi con Lui. Con una delle tante metafore, papa Francesco prosegue: “È vero che bisogna aprire la porta a Gesù Cristo, perché lui bussa e chiama. Ma a volte mi domando se, a causa dell’aria irrespirabile della nostra autoreferenzialità, Gesù non starà bussando dentro di noi perché lo lasciamo uscire” (Ge 136). È vero che siamo inceppati ad uscire a causa di una certa abitudinarietà rassegnata. Data questa inclinazione “lasciamo che il Signore venga a risvegliarci! A dare uno scossone al nostro torpore, a liberarci dall’inerzia” (Ge 137).
A questo scopo, la testimonianza di numerosi sacerdoti, religiose, religiosi e laici che hanno affrontato e affrontano sacrifici su sacrifici, non badando alle loro comodità, servendo con fedeltà la missionarietà, ci è di sprone (Cfr Ge 138). Conclude il Papa: “La loro testimonianza ci ricorda che la Chiesa non ha bisogno di tanti burocrati e funzionari, ma di missionari appassionati, divorati dall’entusiasmo di comunicare la vera vita” (Ge 138). Va da sé che occorra invocare dal Signore “il coraggio apostolico di comunicare il Vangelo agli altri e di rinunciare a fare della nostra vita un museo di ricordi” (Ge 139).
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