Condiscepoli di Agostino
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Il fascino delle cose rare

Agostino si accinge a commentare il capitolo VI del Vangelo di Giovanni, a cominciare dal miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci...

Il fascino delle cose rare

Agostino si accinge a commentare il capitolo VI del Vangelo di Giovanni, a cominciare dal miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci. Come suo solito, non precipita i commenti. Preferisce procedere a ritmo lento. Riflessivo. Nel caso presente, indugia a precisare il senso del miracolo: “I miracoli che ha fatto il Signore nostro Gesù Cristo sono senza dubbio opere divine e ammoniscono la mente umana a comprendere Dio dalle cose invisibili”. In effetti, come si può vedere Dio che è invisibile? In qualche modo attraverso la natura da Lui creata, di cui diventa orma. A ben pensare, tutta la Creazione è un miracolo di Dio, come pure il suo governo. Tuttavia, questi miracoli macroscopici “a causa della consuetudine, svilirono a tal punto che quasi nessuno si degna di osservare le opere di Dio mirabili e stupende in qualsiasi seme”. È questione di miopia umana. Tutto si dà per scontato. Ma Dio viene in soccorso della fragilità umana. E nella sua Misericordia “ha riservato a sé alcune cose da fare a tempo opportuno oltre la consuetudine del corso della natura, affinché con il vedere cose non maggiori, ma insolite, si stupissero”. Insomma, Dio non si rassegna al fatto che l’uomo si chiuda al senso dello stupore di fronte alle sue grandi opere. Gli offre nuove opportunità. Opera prodigi insoliti, benché “è miracolo più grande governare tutto intero il mondo rispetto al saziare cinquemila uomini con cinque pani”. Agostino rileva, dunque, il fatto che il macro-miracolo della Creazione non desta stupore e ne dà la spiegazione: “Quella cosa ammirano gli uomini non perché è maggiore, ma perché è rara” (“Illud mirantur homines non quia maius est, sed quia rarum est”). È quanto aveva già rilevato nelle nozze di Cana nei riguardi della trasformazione dell’acqua in vino rispetto alla immensa quantità di vino prodotto dalle viti, assorbendo l’acqua sotto forma di linfa. Anche Agostino, con i suoi ascoltatori, si immette nel numero di coloro che si stupiscono per il prodigio della moltiplicazione dei pani e dei pesci: “Abbiamo visto, siamo stati spettatori di qualche cosa di grande, magnifico e assolutamente divino, che non può essere fatto se non da Dio. Da ciò che è stato fatto abbiamo lodato l’Artefice”. In moltissime altre occasioni Agostino metterà in risalto l’Artefice. E lo farà non in riferimento ai miracoli strepitosi, ma nei riguardi appunto della natura creata. Soprattutto in riferimento alla sua molteplice bellezza: se l’uomo ammira le bellezze della natura, come mai non ammira l’Artefice di tali bellezze?

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