Condiscepoli di Agostino
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Il desiderio di vedere Dio a faccia a faccia

È davvero una esperienza singolare quella di leggere con attenzione il De Trinitate. A lettura fatta, si riconosce che ne valeva la pena, data la ricchezza teologica, antropologica, gnoseologica, spirituale e mistica che inavvertitamente viene trasmessa ai lettori appassionati. Per osmosi...

Parole chiave: Mons. Giuseppe Zenti (330), Vescovo di Verona (247), Trinità (8), Sant'Agostino (190)

È davvero una esperienza singolare quella di leggere con attenzione il De Trinitate. A lettura fatta, si riconosce che ne valeva la pena, data la ricchezza teologica, antropologica, gnoseologica, spirituale e mistica che inavvertitamente viene trasmessa ai lettori appassionati. Per osmosi. È tutta una sorpresa, soprattutto nel metodo con cui Agostino ci ha comunicato la sua stessa esperienza di vita trinitaria. In effetti, l’opera De Trinitate, ancor prima e ancor più che un trattato, è una sorta di confessione personale e di professione davanti alla Chiesa della sua fede trinitaria che, a sua volta, per Agostino non è un enigma, ma la ragione del suo vivere, anzi il suo stesso vivere. Di conseguenza, il De Trinitate può essere considerato una testimonianza di vita trinitaria sempre più approfondita, assimilata, confidata. È come se ci avesse fatto dono di un lungo e travagliato corso di esercizi ignaziani, per riflettere sui grandi temi che la mente di ogni essere umano si pone: da dove proveniamo; in chi esistiamo; qual è il criterio di discernimento del bene e del male; dove siamo diretti? Il tutto nel quadro del mistero trinitario, dal quale abbiamo origine; nel quale viviamo; criterio assoluto nel discernimento del bene e del male; approdo definitivo del vivere umano, come nel contempo scriveva nel De civitate Dei.
Al fine di farci partecipi della sua straordinaria avventura esperienziale del mistero trinitario, vissuta nella totalità del suo essere, mente e cuore, Agostino l’ha narrata in due sezioni. Nella prima, nella quale il mistero della Trinità è visto con l’occhio della fede biblica, ha confidato la ricaduta nella sua mente e nel suo animo della fede cattolica, seguendo meticolosamente la regola della fede che è la Sacra Scrittura. Alcuni sprazzi di ermeneutica, specialmente nei riguardi dello Spirito Santo, sono colpi di genio. Ma le sue più ardite ed inesplorate riflessioni si riscontrano ancor più nella seconda sezione, dove alle certezze della fede enunciate dalla Sacra Scrittura, subentrano i laboriosi tentativi della sua mente, messa volutamente a dura prova, di rintracciare nell’essere umano, creato ad immagine di Dio, eventuali analogie (o almeno tracce, evocazioni, orme, richiami, allusioni) del mistero trinitario che ne è l’autore artefice. Questa seconda sezione, nella quale Agostino scruta il mistero della Trinità con l’occhio penetrante della sua mente, di fatto è il parto di una travagliata gestazione interiore, di cui Agostino è consapevole, come di tanto in tanto fa sapere. Dei più dei vent’anni richiesti per la sua composizione almeno due terzi sono stati esigiti dalla seconda sezione. D’altra parte era anche una sfida con se stesso, del tutto inedita, che lo ha costretto a scandagliare la sua interiorità, cioè il suo animo e la sua esperienza complessa, come interprete dell’umanità. Ne consegue che, specialmente la seconda sezione, non è per principianti, ma per persone che hanno l’esigenza di interrogarsi in profondità, alla ricerca di risposte fondate sulla razionalità, capaci comunque di apportare luce agli interrogativi più esigenti.
Agostino non ha esitato a compiere uno sforzo immane e per certi versi inumano, pur di raggiungere l’obiettivo di “vedere Dio con la mente”, dopo averlo visto con l’occhio della fede, come una sorta di predisposizione del suo animo a vedere Dio “a faccia a faccia, così come Egli è” oltre il tempo. A mano a mano che procedeva nell’analisi accurata delle molteplici possibili analogie trinitarie, si sentiva incoraggiato dai risultati ottenuti, come se, per un indecifrabile ma impellente bisogno interiore, stesse scrutando il mistero trinitario su un orizzonte panoramico, progressivamente conquistato, come accade ad uno scalatore. Per lui si è trattato di una via ferrata, nella quale non gli mancarono squarci di letizia spirituale, preludio della beatitudine definitiva nell’oltre tempo.

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