Condiscepoli di Agostino
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I segni della Trinità nell’essere umano

Se fino al libro ottavo del trattato sulla Trinità il linguaggio di Agostino è sufficientemente comprensibile, dal libro nono in poi ci imbattiamo in un percorso che richiede concentrazione e acutezza di mente...

Parole chiave: Sant'Agostino (190)
I segni della Trinità nell’essere umano

Se fino al libro ottavo del trattato sulla Trinità il linguaggio di Agostino è sufficientemente comprensibile, dal libro nono in poi ci imbattiamo in un percorso che richiede concentrazione e acutezza di mente. Lo riconosce Agostino persino di se stesso. Ha faticato molto nella loro composizione. Anche perché ha voluto rispondere a se stesso anche su questioni complesse e per noi, comuni mortali, di poca rilevanza. Di questi sette libri raccogliamo ciò che è a portata di conoscenza nostra. Agostino non intende riapprofondire il Mistero della Trinità, operazione già compiuta nei libri precedenti: “Non parliamo ancora della suprema Trinità; non parliamo ancora di Dio Padre, Figlio e Spirito Santo” (De Trinitate 9, 2.2). Vuole dimostrare che, avendo Dio creato l’uomo a sua immagine e somiglianza, ha lasciato nel suo Dna di uomo qualche traccia del Mistero della Trinità: “Parliamo di questa immagine inadeguata, tuttavia immagine, cioè dell’uomo” (Ivi). Essendo l’uomo una immagine familiare ad ogni uomo, accessibile anche ai più deboli, tenta di presentare una possibile traccia della Trinità a partire da ciò che lui stesso sperimenta e, come lui, ogni persona umana: “Penso a me, a me che cerco questo. Quando amo qualche cosa, ci sono tre cose: io, ciò che amo e l’amore stesso” (Ivi: “Ego, et quod amo et ipse amor”). Cerchiamo di comprendere ciò che vuole dire Agostino. Sostanzialmente, Dio è Amore. Nel creare l’uomo, lo ha predisposto all’amore. Sicché, nel prendere coscienza di essere egli stesso in grado di amare, si riconosce soggetto dell’amore. Se egli è soggetto dell’amore, il suo amore si rivolge ad una realtà che ne diventa destinataria, fosse pure se stesso. Ma l’azione dell’amare e dell’essere amati richiama al naturale la presenza di un amore non evanescente e fantasioso, bensì reale.  Non si accontenta di ciò che ha affermato. Vuole togliere ogni ombra. Di conseguenza, vuole precisare ulteriormente: “Non amo l’amore se non lo amo da amato, perché non c’è amore dove nulla è amato” (Ivi).  Non è una precisazione superficiale. Dice una cosa molto seria: c’è amore solo dove c’è una realtà destinataria dell’amore. Di qui, da questo modo di concepire l’amore nell’uomo, ad Agostino viene spontaneo evocare come soggetto che ama Dio Padre, come destinatario dell’amore del Padre il Figlio e come Amore personificato lo Spirito Santo. Come pure precisa che Dio non sarebbe Amore se non avesse una Persona da amare, quella del Figlio. Dio, dunque, non può essere uno solo, un individuo, ma, per la natura stessa dell’amore, è Trinità.

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