Condiscepoli di Agostino
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Comandare è servire la pace

Il servizio all’umanità dà più gioia che l’essere schiavi della libidine del dominare: “Dio volle che l’essere razionale fatto a sua immagine dominasse soltanto gli esseri irrazionali, non l’uomo sull’uomo, ma l’uomo sul bestiame” (De civ. Dei, XIX, 15)

Parole chiave: La città di Dio (66), Sant'Agostino (190)

Il servizio all’umanità dà più gioia che l’essere schiavi della libidine del dominare: “Dio volle che l’essere razionale fatto a sua immagine dominasse soltanto gli esseri irrazionali, non l’uomo sull’uomo, ma l’uomo sul bestiame” (De civ. Dei, XIX, 15). Precisa ulteriormente Agostino: “Per natura, secondo la quale all’inizio Dio fece l’uomo, non v’è schiavo dell’uomo o del peccato” (Ivi). Fatta questa premessa, Agostino focalizza l’attenzione sulla pace in famiglia, garantita dal padre di famiglia, al quale spetta il compito anche di correggere. La pace della famiglia deve diventare paradigmatica della pace sociale, dove vige il giusto rapporto tra chi comanda e chi obbedisce: “Coloro poi che sono veri padri di famiglia, provvedono a tutti nella loro famiglia come a figli al fine di venerare Dio, desiderando e scegliendo di venire alla casa celeste dove non è necessario il dovere di comandare ai mortali, perché non è necessario il dovere di provvedere a coloro che in quella immortalità sono già felici. Per giungervi debbono sopportare di più i padri di famiglia con il loro dominare che gli schiavi con il loro servire. Se però qualcuno in casa contrasta la pace domestica per disobbedienza viene corretto o con la parola o con la verga o con qualsiasi altro giusto e lecito genere di pena per l’utilità di chi viene corretto e perché gli altri siano spaventati dall’esempio. La casa dell’uomo deve essere dunque l’inizio della città o una sua piccola parte... Appare a sufficienza, pertanto, come conseguenza che la pace domestica si riferisca alla pace della città. In effetti, l’ordinata concordia di quanti abitano insieme, nel dinamismo del comandare e dell’obbedire, deve riferirsi all’ordinata concordia del comandare e dell’obbedire dei cittadini” (De civ. Dei, XIX, 16). Ora, precisa Agostino, la pace domestica e civile è paradigmatica anche della pace che caratterizza la città di Dio che accoglie genti da ogni popolo e le riunisce in un’unica società in peregrinazione nel tempo, senza preoccuparsi della diversità di culture e di costumi nei loro aspetti positivi e leciti. La città di Dio valorizza per sé la pace terrena e la tutela, appunto perché in quanto società ha bisogno di vivere nella pace: “Questa città celeste mentre è peregrinante in terra chiama cittadini da tutte le genti e in tutte le lingue le riunisce come società in peregrinazione, non curandosi di qualunque cosa ci sia di diverso nei costumi, nelle leggi, nelle istituzioni. Mediante queste realtà la pace terrena viene acquisita o conservata, senza annullare o distruggere nulla di ciò che si trova nelle diverse nazioni, anzi conservando e seguendo ciò che c’è di lecito, nella diversità. A condizione comunque che sia proteso all’unico e medesimo fine della pace terrena, purché non impedisca la religione, mediante la quale si insegna che si deve venerare un solo e vero Dio. Anche la città celeste usa pertanto in questa sua peregrinazione della pace terrena e la tutela e la desidera, per quanto concerne le cose pertinenti alla natura mortale degli uomini; l’accordo delle volontà umane e anche la pace terrena la riferisce alla pace celeste… Questa pace possiede, mentre peregrina nella fede e di questa fede giustamente vive, mentre per raggiungere quella pace riferisce tutto ciò che fa di buone azioni verso Dio e verso il prossimo, poiché la vita della città è senza dubbio sociale” (De civ. Dei, XIX, 17).

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