Condiscepoli di Agostino
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Agostino 17enne tra insidie e opportunità

Dopo aver portato a termine gli studi che oggi diremmo della scuola secondaria di secondo grado, a diciassette anni, grazie ad uno sponsor, il ricco Romaniano che aveva intravisto nel giovane ottime qualità culturali, Agostino lascia la sua terra per avventurarsi nella lontana Cartagine.

Dopo aver portato a termine gli studi che oggi diremmo della scuola secondaria di secondo grado, a diciassette anni, grazie ad uno sponsor, il ricco Romaniano che aveva intravisto nel giovane ottime qualità culturali, Agostino lascia la sua terra per avventurarsi nella lontana Cartagine. L’obiettivo? Oggi si direbbe laurearsi in legge, allora  conseguire la licenza dell’insegnamento, nel caso specifico di retorica. Purtroppo, si immerse in un ambiente carico di insidie morali nelle quali si lasciò irretire. Nei tempi liberi dallo studio si lasciava prendere anche dalla passione per il teatro, alquanto licenzioso. Ecco la narrazione che ne fece il vescovo Agostino scrivendo Le Confessioni: “Venni a Cartagine, e intorno a me da ogni parte strepitava un guazzabuglio di amori dissoluti. Ancora non sapevo amare e amavo di amare. Cercavo che cosa amare, amando di amare... Amare ed essere amato mi era più dolce se avessi fruito anche del corpo dell’amante. Pertanto inquinavo insieme la vena dell’amicizia con gli atti di sudiciume dell’infernale libidine, e tuttavia, turpe e disonesto, bramavo essere elegante e fine con abbondanza di vanità... Precipitai anche in un amore dal quale desideravo essere preso... e lieto me ne lasciavo legare insieme da vincoli pieni di travagli, per essere battuto dalle roventi verghe di ferro della gelosia e dei sospetti e dei timori e delle ire e delle risse... Mi rapivano gli spettacoli del teatro pieni di rappresentazioni delle mie miserie e delle vampate del mio fuoco (interiore)... E tuttavia con quegli spettacoli lo spettatore vuole patire dolore e il dolore stesso è il suo piacere... (negli spettacoli teatrali) si amano pertanto le lacrime e i dolori”.
Non c’era da dubitarne: a scuola di retorica conseguiva ottimi risultati. Era il primo in tutto e se ne inorgogliva, prigioniero com’era di quella superbia che gli impediva di lasciarsi realmente conquistare dalla Verità: “Ero il migliore nella scuola di retorica e ne godevo con superbia e mi gonfiavo di orgoglio”.
Provvidenzialmente il corso di studi in retorica prevedeva l’analisi di un libro di Cicerone, il più grande e famoso retore nella classicità latina, intitolato Hortensius. Un libro di straordinaria efficacia sul piano della persuasione ad appassionarsi della sapienza. Agostino ne rimase affascinato. Per così dire, se lo divorò. L’unica cosa che lo lasciava non pienamente soddisfatto era, ovviamente, l’assenza del nome di Cristo che invece Agostino, benché ancora non battezzato, sentiva come parte essenziale e non sopprimibile dei suoi cromosomi spirituali. Da notare che sappiamo dell’esistenza di quest’opera di Cicerone solo grazie alla documentazione offerta da Agostino. Diversamente sarebbe caduto nella notte buia dell’ignoto. Ecco come Agostino descrive questa sua singolare esperienza: “Apprendevo i libri di eloquenza... e nel percorso abituale ero arrivato ad un libro di un certo Cicerone, di cui quasi tutti ammirano la lingua, ma non altrettanto i pensieri. Ma quel suo libro contiene una esortazione alla filosofia e si intitola Ortensio. Quel famoso libro svilì dentro di me ogni vana speranza e mi faceva bramare l’immortalità della sapienza con un incredibile ardore del cuore ed avevo cominciato a risorgere per far ritorno a Te... Come ardevo, Dio mio, come ardevo di rivolare a Te dalle realtà terrene e non ero cosciente di ciò che Tu operavi con me... in tanta fragranza questo solo mi era di ostacolo, il fatto che lì non c’era il nome di Cristo, poiché questo nome secondo la tua misericordia, Signore, questo nome del mio salvatore, il Figlio tuo, ancora nello stesso latte materno il mio tenero cuore aveva succhiato piamente e lo conservava nelle sue profondità, e ciò che fosse stato senza questo nome, per quanto dotto e forbito e veritiero, non mi rapiva nella mia totalità”.

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