Dal Brasile un film pieno di speranza
È arrivata mia figlia!
(Brasile, 2015)
regia: Anna Muylaert
con: Regina Case, Michel Joelsas, Camila Màrdila, Karine Teles
durata: 114 min.
Val (Regina Case) è un’attiva signora di mezza età che lavora come domestica a San Paolo del Brasile, al servizio di una ricca famiglia borghese. Da più di dieci anni non vede la figlia Jessica, affidata ad un parente. La ragazza è cresciuta, ovviamente, ha frequentato le scuole superiori e ora giunge nella metropoli per affrontare l’esame di ammissione alla facoltà di Architettura. Non solo la madre, che l’aveva lasciata bambina e ora la ritrova donna, ma anche la famiglia dei padroni di casa subirà un contraccolpo emotivo all’arrivo della giovane
È quasi un paradosso, a pensarci bene: per andare a lavorare in casa d’altri, servendone gli adulti e badando ai bambini, la governante ha dovuto lasciare la propria bambina in affidamento a parenti. Una realtà che a noi può sembrare lontanissima, ma che, se volessimo interrogare i nostri parenti più anziani, forse scopriremmo più vicina di quanto pensiamo.
Questo buon film brasiliano, che arriva da noi alle soglie di una programmazione estiva che solitamente è pigra di novità interessanti, racconta di un mondo in cui la mobilità sociale sembra essere diventata un miraggio. A pensarci bene, è un mondo che ci assomiglia, e figure come quelle di Jessica, giovane ragazza che invece, a piena ragione, rivendica come un diritto sacrosanto la possibilità di cambiare la sua condizione di partenza, non possono che esserci di conforto e di incoraggiamento. Anche perché l’aspetto più interessante e più bello della storia che ci viene raccontata, è che la determinazione e il coraggio della figlia aiutano anche la madre a prender coscienza di sé, spingendola a considerare il suo stato come non eterno e immodificabile. Il tutto, va detto per non incorrere in equivoci, col tono piacevole di una commedia morale, senza caricare di appesantimenti didascalici o di false drammatizzazioni ad effetto una vicenda ben diretta e ben recitata che ha nella credibilità dei volti e dei gesti dei personaggi e degli interpreti la sua forza.
Il titolo originale del film, tradotto, sarebbe A che ora torna?, definisce quel senso di attesa, a volte frustrante, a volte piena di aspettative, che è propria delle relazioni sociali che sono, per quanto si voglia pretendere di considerarle definite una volta per tutte, sempre e per fortuna mutevoli, dialettiche, a volte intrise di sorprese tanto più piacevoli quanto maggiormente inaspettate.