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L’impianto che trasforma gli scarti organici in prezioso biometano

di ANDREA DI FABIO
Anche a Isola della Scala, tra opportunità e qualche dubbio 

L’impianto che trasforma gli scarti organici in prezioso biometano

di ANDREA DI FABIO
Produrrà 4,3 milioni di metri cubi di biometano e oltre 6mila metri cubi di Gnl (gas naturale liquefatto) all’anno e, secondo le prime stime, permetterà di risparmiare 4mila tonnellate di anidride carbonica emessa: sono questi i numeri del nuovo impianto a biomasse che sorgerà a Isola della Scala, in località San Gabriele, per opera di “Isola della Scala Green Energy”. Il progetto, approvato dalla Regione lo scorso luglio, è stato recentemente presentato ai cittadini, sollevando curiosità, interrogativi e polemiche.
Ma come si produce il biometano? E come funziona una centrale a biomasse? Tutto ha inizio con la raccolta di materiale organico proveniente da rifiuti urbani (umido), sottoprodotti di lavorazioni agricole e agroindustriali o allevamenti (deiezioni, carcasse, ecc.). Altri scarti utilizzati negli impianti includono fanghi, acque reflue e liquami. Dopo opportuni trattamenti, il materiale viene stoccato in enormi contenitori che svolgono una funzione simile a quella dei nostri intestini: i rifiuti vengono “digeriti” attraverso un processo di digestione anaerobica, in un ambiente privo di ossigeno. Questo processo – che avviene grazie a una serie di reazioni biochimiche innescate da batteri specifici – produce biogas, un gas composto dal 50-60% di metano e da una serie di altre sostanze come Co2, zolfo e idrogeno solforato. Prima di poter essere utilizzato, questo prodotto grezzo deve subire nuove lavorazioni. La trasformazione definitiva in biometano avviene grazie alla rimozione delle altre componenti gassose (purificazione) e alla separazione dell’anidride carbonica (upgrading). A questo punto il biometano, privo di altre significative “impurità”, assume una composizione chimica simile a quella del metano proveniente dai giacimenti del sottosuolo ed è finalmente pronto per essere messo in rete e utilizzato come combustibile nei trasporti, per il riscaldamento domestico o per la generazione di energia elettrica in centrali specializzate.
Sul piano ecologico, uno dei punti di forza legati alla produzione di questo gas è la circolarità: i rifiuti organici destinati allo smaltimento si trasformano in risorse da sfruttare per produrre energia che, altrimenti, andrebbe irrimediabilmente persa. Lo scarto prodotto dalla digestione anaerobica (anche chiamato digestato) viene inoltre trattato con un processo di digestione aerobica (in presenza di ossigeno) che lo trasforma in un fertilizzante naturale, ricco di carbonio, da utilizzare in alternativa a quelli di origine fossile, per preservare i terreni dalla desertificazione. Il biometano viene anche considerato “Co2 neutro”: l’anidride carbonica prodotta dal suo impiego (ad esempio come carburante) è la stessa già fissata all’interno degli organismi viventi in decomposizione. Non vengono quindi emesse nuove quantità di gas serra, come accade invece con i combustibili fossili stoccati nel sottosuolo, estratti e bruciati. A differenza di gas e petrolio, poi, il biometano è una fonte di energia rinnovabile perché prodotta a partire da rifiuti organici e biomasse. Rispetto al solare o all’eolico, invece, la produzione non dipende da condizioni climatiche esterne ed è quindi stabile e programmabile nel tempo. La presenza di una rete capillare – già utilizzata per il metano fossile – facilita, infine, il trasporto e l’utilizzo. Al netto dei vantaggi, c’è chi sottolinea anche qualche limite, primo fra tutti il consumo di suolo.
La costruzione di un impianto richiede ampie superfici e le colture energetiche utilizzate per la produzione di biomasse possono sottrarre spazio a quelle legate all’alimentazione umana o animale. È però necessario ricordare che la superficie agricola impiegata in Italia per questo scopo è appena il 3% del totale, mentre i campi abbandonati sono in costante aumento: nell’ultimo mezzo secolo, il Paese ha perso oltre un terzo dei propri terreni agricoli, passati da 18 a 12 milioni di ettari. Se il fine delle coltivazioni non è più alimentare ma energetico, i produttori potrebbero poi aumentare i trattamenti con fertilizzanti e pesticidi volti a incrementare la resa, a discapito dell’ambiente. Le norme, in Italia, sono comunque stringenti.
Nel computo della sostenibilità ambientale, bisogna infine calcolare anche l’impatto dei trasporti che riforniscono le centrali con gli scarti organici, soprattutto se le filiere sono medio-lunghe. Il timore per la presenza di odori sgradevoli, di altre emissioni inquinati o di batteri patogeni è invece superata dalle moderne tecnologie usate nella costruzione degli impianti di ultima generazione. Con oltre 2mila centrali a biomasse, l’Italia è il secondo produttore di biogas in Europa e il quarto al mondo. Secondo Legambiente, il potenziale potrebbe essere ancora più elevato: si stima che, al 2030, il contributo del biometano possa sfiorare i 10 miliardi di metri cubi all’anno, arrivando a coprire il 15-20% del fabbisogno energetico annuale di gas naturale. La rotta per il futuro sembra essere già tracciata. Lo scorso settembre l’ex ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, ha firmato un decreto che ha sbloccato 1,7 miliardi di euro di incentivi previsti dal Pnrr per rafforzare la produzione italiana di biometano adeguando gli impianti esistenti o costruendone di nuovi. 

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