Terzo settore (in crescita) alla sfida del volontariato
di CHRISTIAN GAOLE
Occorrono ricambio ma soprattutto meno occasionalità: lo dice il “Rapporto Terzo settore 2024”
di CHRISTIAN GAOLE
Più 35%: la crescita degli enti non profit dal 2011 al 2021; 270mila enti (potenziali 310mila), 830mila dipendenti, 4,2 milioni di volontari, il 62% degli enti fornisce servizi alla persona e il 42% è in crescita in termini di entrate e di dipendenti. Questi i numeri presentati dal “Rapporto Terzo settore 2024”, studio finanziato da Generali e Cattolica Assicurazioni, presentato nell’ambito della rassegna “Poeti sociali”. Per comprendere meglio, prima di sviscerare i contenuti del Rapporto, occorre spiegare come è nata la riforma e cos’è il Terzo settore.
Con lo scopo di essere riconosciute dalla pubblica amministrazione, dalle imprese, dai finanziatori e dagli utenti stessi, per essere trasparenti e per avere una qualifica professionale adeguata, lo Stato ha deciso nel 2017, attraverso una legge ad hoc, di istituire il Codice del Terzo settore e il Registro unico nazionale per gli enti del Terzo settore. Ad oggi il registro (Runts) è composto da 129mila enti tra associazioni di promozione sociale, organizzazioni di volontariato, enti filantropici, imprese sociali, società di mutuo soccorso e altre realtà del Terzo settore.
«Il nodo rimane ancora, in quanto è presente un vuoto normativo, per le associazioni sportive – afferma Enea Dallaglio, di Mbs Consulting –; ma pare che a livello nazionale si stia lavorando per colmare questo gap». «L’unicità del rapporto – interviene Barbara Lucini, responsabile per Generali di sostenibilità e responsabilità sociale – dimostra che, all’indomani della riforma, vi è un’eccezionale capacità del Terzo settore di generare valore. Il settore in questione riesce a intercettare i bisogni del nostro Paese e rappresenta il 4,5% del Pil italiano. Infatti il 62% degli Ets (Enti del terzo settore, ndr) fornisce servizi alla persona». L’altro verbo che sia i relatori che il rapporto sottolineano, è co-progettare: creare dei progetti che aiutino tutti gli attori coinvolti nel tessuto sociale con la pubblica amministrazione. Un monito, quindi, per le non profit a sedersi al tavolo delle trattative con la pubblica amministrazione per uscirne con un progetto a sole due mani. Dallaglio prosegue e spiega il motivo per cui è nato il Rapporto e la metodologia con cui è stato redatto.
«Tutti i ricercatori hanno lavorato per circa due anni alla stesura del volume; 820mila sono stati i responsabili intervistati e 270mila gli enti presi in esame. Inoltre, alla base dello studio, le domande che sono state poste riguardavano lo stato dell’arte della riforma e in che modo quest’ultima avesse impattato il Terzo settore. La seconda domanda si aggirava intorno al modo in cui il Terzo settore si interroga in merito alle crisi sociali del nostro tempo e in che modo ne stia rispondendo». L’altro dato interessante del Rapporto, che seleziona i servizi offerti dagli Ets e assegna loro una percentuale, è «l’indice dei maggiori campi di intervento degli enti: il 60% si occupa di persone affette da disabilità mentre per malattie è il 45%. La domanda a questo punto è: se non ci fosse il Terzo settore, cosa accadrebbe a queste persone?». Se fin qui il rapporto ha sottolineato le note distintive del Terzo settore, ora meritano di essere enunciate anche le sfide che ha davanti a sé.
Dal rapporto emerge come prima sfida il fatto che il volontariato sia diventato “liquido”, cioè ad hoc per le singole emergenze (si veda a titolo di esempio la crisi idrica in Emilia Romagna). Con un 57,2% si registrano molto più volontari occasionali contro il 42,5% di volontari continuativi. La seconda sfida, come ricorda Lucini, riguarda il capitale umano; perché gli Ets hanno bisogno di affrontare un ricambio generazionale. La terza riguarda l’importanza di ricercare un equilibrio economico che renda sostenibile anche la mission dell’ente e che permetta allo stesso di poter accedere ai finanziamenti. La quarta e la quinta sono essenziali: se la quarta prova riguarda il fare rete, con la Pa e con i privati, la quinta vuole instillare negli Ets la cultura del rischio, pre-condizione per continuare a pensare alle attività di questo mondo. Ultimo, ma non meno importante: mettere a punto con la pubblica amministrazione dei progetti sociali a favore di tutta la cittadinanza.
Alla tavola rotonda sono intervenuti anche Chiara Tommasini (presidente di CSVnet); Antonio Fici, del Comitato scientifico dell’Osservatorio del Terzo settore; Italo Sandrini, assessore al Terzo settore del Comune di Verona; e Giorgio Mion, docente di Economia aziendale all’Università di Verona. Tommasini ricorda che «il ricambio è una risorsa e che l’obiettivo da raggiungere è portare i giovani a impegnarsi anche nel lungo termine, dando loro cose tangibili». Per Fici, invece, la riforma deve essere completata e propone di pensare a sgravi non solo per chi dona somme di denaro agli Ets, ma anche per il volontario che lavora all’interno degli stessi. Mion, infine, ricorda che «va persuaso chi si occupa del Terzo settore ad adottare una logica di rendicontazione. Solo così gli Ets acquisiranno maggior valore e a livello nazionale si avrà una dimensione palpabile di cosa rappresenti questo mondo».
Non sei abilitato all'invio del commento.
Effettua il Login per poter inviare un commento