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Corso di formazione per la gestione degli enti ecclesiastici e religiosi

di REDAZIONE
È sostenuto da Buerts, la Business Unit enti religiosi e Terzo settore di Cattolica Assicurazioni (Gruppo Generali)

Corso di formazione per la gestione degli enti ecclesiastici e religiosi

di REDAZIONE
Come amministrare gli enti ecclesiastici e religiosi, e renderli sostenibili: è l’obiettivo di un corso di alta formazione sostenuto dalla Buerts di Cattolica Assicurazioni (Gruppo Generali), in collaborazione con Clas, Centro lateranense alti studi della Pontificia Università Lateranense. Il percorso accademico, che vedrà tra i docenti e relatori anche alcuni manager di Cattolica, è stato presentato il 26 gennaio a Roma, nella sede dell’ateneo lateranense, nell’ambito del convegno “Opere ecclesiali e Terzo Settore. Accompagnare il tempo di discernimento”. Appuntamento che ha visto la partecipazione di Sua Eccellenza Reverendissima mons. Roberto Carlo Maria Redaelli, presidente di Caritas Italiana, del prof. Andrea Perrone, dell’Università Cattolica del Sacro Cuore - direttore del Cesen, e dell’avv. Tomas Chiaramonte, segretario generale di ConAdoa e direttore di Centri servizi alla persona. L’origine del convegno nasce dalla volontà del Clas, in partnership con Cattolica Assicurazioni di presentare, a corredo della IV^ edizione del Corso di alta formazione in amministrazione degli enti ecclesiastici e religiosi, un percorso di approfondimento pratico su alcune delle questioni di maggior impatto in materia di organizzazione e gestione delle opere ecclesiali di rilevanza sociale in relazione anche al recente aggiornamento della normativa sul Terzo settore.

«Cattolica continuerà a perseguire il consolidamento del mercato in settori strategici per il Gruppo come gli enti religiosi, l’associazionismo ecclesiale e il non profit: un mondo che accompagna da sempre fornendo soluzioni e servizi innovativi», ha dichiarato Samuele Marconcini, amministratore delegato di Cattolica Assicurazioni (Gruppo Generali). Cattolica, ha sottolineato, «è l’unica realtà assicurativa italiana che ha dedicato una Business Unit a questo importante settore così da supportare queste realtà, in particolar modo in questa fase di importante evoluzione a livello normativo che coinvolge l’intero settore. Il nostro rinnovato sostegno alla Pontificia Università Lateranense ci consente di mettere a disposizione dei destinatari del convegno e dei corsi successivi anche le competenze di alcuni manager della società, impegnati come docenti e relatori. Questo nella consapevolezza che formare una nuova generazione di economi, amministratori e professionisti con una preparazione specifica sul settore, sia l’obiettivo a cui guardare per garantire un futuro sostenibile alle tante realtà del mondo Ecclesiastico e del Terzo Settore il cui impatto sociale è di fondamentale importanza per il nostro Paese».

Presente il segretario generale di ConAdoa, Tomas Chiaramonte, che ha ricordato il ruolo di Verona: «Città fortemente proiettata verso l’attenzione all’altro: pensiamo alle molteplici attività di volontariato, ai numerosi istituti religiosi presenti sul territorio, ad una Diocesi organizzata e, in generale, ad una intera galassia del Terzo settore che si presenta variegata e creativa. Un insieme di enti, associazioni, persone che, se ben coordinato, può caratterizzarsi come corpo intermedio tra un servizio sanitario oggi molto centralizzato e i bisogni effettivi del cittadino». L’esistenza sul territorio di network etici, ha detto, può favorire un processo sistematico per offrire risposte adeguate e flessibili alle persone vulnerabili. «Quando parliamo di impresa pensiamo subito alla creazione di valore condiviso. Soprattutto all’interno delle organizzazioni del Terzo settore a questa bisogna affiancare la creazione di un’etica nell'impresa e di un'etica dell'impresa come attrice del cambiamento nella società. Bisogna trovare elementi e schemi aziendali per lavorare per un’etica dell’impresa».
Quali sono questi strumenti? «Il primo è sicuramente la formazione: di qualità, condivisa tra enti, qualificata come l’evento di oggi – ha elencato –. Il secondo elemento è perseguire una sostenibilità integrale: non possiamo parlare solo di sostenibilità economica, esiste anche quella ambientale e umana che riguarda concetti come la giusta remunerazione, il rispetto dei contratti collettivi, il welfare aziendale per attrarre talenti. Prendersi cura di chi si prende cura. Non c’è solo una strada per arrivarci ma la via più immediata è la creazione di sinergie tra istituti religiosi, ecclesiastici, enti del Terzo Settore. L’attivarsi di un confronto continuo su questioni pratiche, problemi veri. Di creare, in breve, un network etico: un insieme di attori tra loro interconnessi che favoriscono l’attuazione di standard etici. Noi enti del terzo settore nati dalla Chiesa dobbiamo elevare tali standard: se non ci proviamo noi non ci riuscirà nessun altro. Un esempio virtuoso è accaduto all’inizio della pandemia. Fin dai primi mesi della diffusione del Covid, grazie alle relazioni e al contatto continuo tra noi enti, abbiamo risposto prontamente quando ancora nessuno sapeva che cosa stesse succedendo. Proprio il lavoro di rete ci ha aiutato ad arginare le prime ondate, quelle non coperte dai vaccini consentendoci, di fatto, di salvare delle vite».

Anche mons. Roberto Carlo Maria Redaelli, presidente di Caritas Italiana, ha evidenziati l'aspetto sociale: «Oggi c’è la necessità di ripensare la carità perché i bisogni attuali sono complessi e non arrivano mai da soli: ci sono le bollette da pagare ma anche figli disabili, divorzi. Per affrontarli serve un approccio complessivo che esige competenze e figure professionali preparate. È poi importante un coinvolgimento e una crescita della comunità, la creazione di un ecosistema integrato». Di recente la Caritas ha diffuso l’ultimo rapporto sulla povertà, ha ricordato, nel quale emerge che i più poveri, per esempio, sono i giovani. «Ragazzi e studenti che durante il lockdown non mangiavano perché prima potevano farlo nei refettori studenteschi. Ci sono poi i working poor i nuovi poveri che, anche se lavorano, non hanno un reddito tale da coprire necessità basilari». Infine, ha concluso, «il 41% di chi si rivolge ai nostri centri ha il reddito di cittadinanza, e questo forse indica che la misura non basta».

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