È già corsa al vaccino: quello dell’influenza
È corsa al vaccino per proteggersi dall’influenza. L’allarme di Federfarma: le dosi potrebbero non essere sufficienti a coprire il fabbisogno
Poche linee di febbre, qualche colpo di tosse, leggera fatica a respirare... Non sarà Covid-19? Semplifichiamo una situazione che potrebbe verificarsi nelle nostre case con l’arrivo dell’autunno. L’autunno della pandemia, quando i sintomi del malanno di stagione che conosciamo bene (l’influenza) rischieranno di confondersi con quelli del nuovo Coronavirus (di cui sappiamo ben poco, se non in termini di contagiosità e rischi per la salute). Per poter contare su un vaccino italiano, bisognerà attendere con tutta probabilità la fine del 2021: lo confermano i ricercatori che proprio al policlinico di Borgo Roma stanno portando avanti la sperimentazione in collaborazione con l’istituto Spallanzani. Nell’attesa, oltre alle regole con cui abbiamo ormai imparato a familiarizzare – dalle mascherine all’igiene delle mani fino al distanziamento fisico – si aggiunge un’altra “arma”: la vaccinazione antinfluenzale. Mai come quest’anno, infatti, sarà fondamentale vaccinarsi. Lo dicono i medici e i farmacisti, ai quali sono già arrivate richieste per prenotare le prime dosi che, se il Governo non interviene con un’attenta programmazione, potrebbero non essere sufficienti a coprire la richiesta.
(Foto: Obencem @123RF.com)
L’allarme di Federfarma: le dosi potrebbero non essere sufficienti a coprire il fabbisogno
Dopo la corsa alle mascherine, divenute merce rara e introvabile nelle settimane d’esordio della pandemia, il prossimo autunno potrebbe essere segnato da un’altra carenza, stavolta nel numero di dosi di antinfluenzale messe a disposizione della popolazione. La questione non è affatto banale, se si considera che al momento la vaccinazione contro l’influenza è tra le poche “armi” da sfoderare per facilitare la diagnosi differenziale: non protegge dal contagio da Covid-19, sia bene inteso, ma aiuta a circoscrivere i sintomi e a evitare di sovraffollare gli ospedali all’esordio di febbre o tosse riconducibili a malanni di stagione.
Insomma: la consapevolezza di quanto, quest’anno, sia importante la vaccinazione è diffusa più che in passato. E, dalle impressioni raccolte da dietro i banconi, lo confermano i farmacisti aderenti a Federfarma Veneto, i cui ragionamenti procedono ben oltre. Se già adesso (ed è così) i cittadini chiedono informazioni e vogliono prenotare i vaccini antinfluenzali per tempo (perché comunque la faccenda delle mascherine qualcosa probabilmente ha insegnato...), le quantità saranno sufficienti a coprire tutte le richieste? Non solo: ci sarà abbastanza personale da dedicare alla somministrazione, nel momento in cui il sistema sanitario già scricchiola perché oberato dalla mole di tamponi da effettuare?
«Effettivamente la popolazione è più sensibile rispetto agli anni precedenti: a fine agosto sono arrivate le prime richieste di prenotazione sia da parte di privati sia di aziende che, in regime privatistico, desiderano vaccinare i propri dipendenti», conferma Andrea Bellon, presidente dell’Unione regionale dei titolari di farmacia. Al momento, però, per i farmacisti non è possibile né soddisfare le richieste né dare tempistiche certe: da qui la necessità di avere maggiori disponibilità e garanzie da parte della Regione e del Governo. Sono le cifre a inquadrare meglio la questione: «Ad oggi è garantito solamente l’1,5% del quantitativo prenotato dalle Regioni, che è irrisorio se tradotto in numeri reali. Considerato che in Veneto ci sono circa 1.500 farmacie, corrisponde a 10-15 vaccini a esercizio commerciale. Una cifra ridicola», fa notare il referente di Federfarma Veneto. Nemmeno la disponibilità è scontata, anzi: «È un grande punto interrogativo con la recrudescenza dell’epidemia da nuovo Coronavirus in atto in altri Paesi europei», incalza. Ed è, di conseguenza, corsa alle dosi: «In ballo c’è la possibilità che le aziende produttrici straniere riescano a fornire all’Italia un quantitativo superiore rispetto a quello prenotato. Il Veneto avrà circa 1 milione 400mila vaccini, il 40% in più del 2019, ma la popolazione è di 5 milioni di abitanti e il fabbisogno potrebbe essere più alto».
Se ora l’obiettivo è favorire la diagnosi differenziale tra l’influenza stagionale e il Covid-19, spiega, la platea dei soggetti da vaccinare non include solamente le fasce a rischio come bambini, anziani, pazienti con diverse patologie prime fra tutte quelle respiratorie, cardiocircolatorie o diabete (che saranno negli elenchi della campagna vaccinale gratuita messa in campo dalle Ulss). Si devono aggiungere poi le persone socialmente attive, come lavoratori e studenti, per la forte interazione sociale e mobilità che le caratterizza nell’esercizio della professione o nel tempo libero, sebbene non ritenute a rischio.
«Servirebbe una strategia precisa, che al momento non c’è. Ed è un problema che vogliamo portare all’attenzione delle istituzioni», denuncia Bellon. Procede in tale direzione la proposta dei “farmacisti vaccinatori”, coi camici bianchi adeguatamente preparati per inoculare il vaccino antinfluenzale, una volta acquisite le necessarie competenze scientifiche oltre che immunologiche. «Il farmacista è il professionista del farmaco, non vuole sostituirsi a medico e infermiere – chiarisce –. Come categoria, in un momento di emergenza sanitaria in cui è emerso sarà necessario vaccinare un numero elevato di popolazione, vogliamo dare un segnale di disponibilità».
Attualmente tutto è fermo a livello di proposta, fa eco la presidente di Federfarma Verona, Elena Vecchioni: «Auspichiamo che la farmacia possa essere parte integrante e supportare il sistema sanitario nazionale, anche per l’eventuale somministrazione dell’antinfluenzale». Tuttavia ci sono alcuni nodi da sciogliere, prosegue: «Innanzitutto la preparazione, per questo buona parte dei farmacisti sta prendendo parte a un corso di formazione, per garantire il massimo livello di professionalità, promosso dall’Unione tecnica dei farmacisti in collaborazione con il dipartimento di scienza e tecnologia del farmaco dell’Università di Torino. Siamo fermi a una legge del 1932, quindi al momento il farmacista non può inoculare il vaccino e attendiamo che il Governo renda attuabile questa possibilità». L’adesione all’iter formativo è stata a Verona piuttosto ampia: alla parte teorica, effettuata in modalità on line, dal 27 settembre si affiancherà la simulazione pratica. In preparazione del mese di ottobre, periodo in genere dedicato all’avvio della campagna vaccinale, che dovrà garantire una copertura ottimale fino ai mesi di febbraio e marzo.
Il ministero della Salute suggeriva, nell’anno della pandemia, di anticipare le tempistiche rispetto al passato. Ipotesi comprensibile, non facile da mettere in atto come potrebbe sembrare, con il rischio di intasare il sistema: «Vi sono dei tempi tecnici da rispettare dettati dalla fornitura del vaccino, inoltre le Ulss devono recuperare le dosi dalla Regione e distribuirle. Ci auguriamo che tutto vada a favore di un leggero anticipo, per il bene comune della cittadinanza». In queste settimane la situazione è in continuo divenire, conclude Vecchioni: «Più collaboriamo al contenimento del contagio, minori saranno i disagi che si riverseranno nella realtà sociale ed economica del nostro Paese. Puntiamo a un lavoro di rete per la tutela della salute pubblica in cui la farmacia può avere un ruolo chiave in virtù della sua capillarità nel territorio, per aiutare a proteggere la popolazione. In particolare nella ruralità, cioè nei luoghi in cui uno studio medico o il distretto sanitario sono lontani da raggiungere. E la farmacia rimane un punto di rifermento, sicuro, a cui i cittadini si possono rivolgere».
Marta Bicego
A Verona si sperimenta l’antidoto alla pandemia. Scienziati al lavoro, ma si dovrà attendere la fine del 2021
Screening iniziale, inoculazione tramite puntura nel braccio, osservazione stretta per le successive quattro ore e nelle seguenti settimane per identificare eventuali effetti collaterali a seguito della somministrazione. E soprattutto per valutare l’efficacia. Durerà mesi, al Centro ricerche cliniche dell’Azienda ospedaliero universitaria integrata di Verona e in parallelo all’istituto Spallanzani, la sperimentazione sull’uomo di Grad-Cov2, il candidato vaccino made in Italy contro Sars-Cov-2, il virus che causa il Covid-19.
La sicurezza richiede tempi di studio adeguati oltre a diversi step che coinvolgeranno per ora 90 volontari: «Diciotto a Roma, i restanti al policlinico di Borgo Roma, dove ha sede il Centro, società controllata dall’Azienda ospedaliera universitaria integrata e dall’ateneo scaligero, creata nel 2005 per condurre studi di fase precoce sia in soggetti sani che in pazienti», inquadra il direttore scientifico Stefano Milleri. Un primo gruppo coinvolto nella sperimentazione è composto da 45 persone: uomini e donne, di età compresa tra i 18 e i 55 anni, in buona salute; sono stati sottoposti a screening iniziale, quindi a valutazioni più accurate attraverso una serie di analisi per vagliare l’inclusività nel protocollo, escludendo anche che abbiano superato il nuovo Coronavirus, magari da asintomatici. Altri 45 volontari sono selezionati invece tra adulti ultrasessantacinquenni, sani: per chi è in possesso di tali requisiti e desidera entrare a far parte della ricerca, c’è ancora la possibilità di candidarsi (il numero da contattare è 045.8126509).
A fare la differenza sono i tre dosaggi: «I primi tre soggetti, giovani adulti, sono stati trattati allo Spallanzani con la dose più bassa. A due settimane dalla somministrazione, il gruppo di esperti esterno che rivaluta i dati ha autorizzato di procedere a Verona a partire dal 7 settembre». Stessa prassi con i successivi volontari, per la dose intermedia, che è stata inoculata nei giorni scorsi a Roma, con la previsione di mantenere monitorati i soggetti per i successivi sei mesi. Si passerà in seguito alla misura più elevata. Nei primi giorni di novembre, al policlinico scaligero la somministrazione del dosaggio più basso inizierà nei soggetti over 65. Con monitoraggio che dalle quattro ore dopo l’iniezione, passa ai successivi due giorni, per diventare di intervalli più lunghi, fino al traguardo dei sei mesi dalla inoculazione del farmaco sperimentale.
Sotto osservazione, chiarisce, sono eventuali fastidi oppure effetti collaterali: «Dall’indolenzimento del braccio nel punto di inoculo alla possibilità di arrossamento e prurito, riferito soltanto da alcuni soggetti nelle giornate successive, dalla comparsa di un rialzo della temperatura corporea fino alla sindrome simil influenzale con febbre, dolori muscolari oppure articolari. Pochi sono stati i disturbi segnalati, scomparsi comunque nell’arco delle 24-36 ore». Il che fa ben sperare, ma siamo solo all’inizio di un percorso articolato: «La fase di studio serve a dimostrare se il vaccino è sicuro e a raccogliere informazioni sulla sua validità. Quando l’azienda ReiThera avrà ulteriori dettagli sull’efficacia, si passerà alla fase due e tre che interesserà un numero maggiore di soggetti, che saranno 3-4mila, con il coinvolgimento di diversi Paesi». Passaggi che richiederanno tempo, sottolinea, il che fa ipotizzare che fino alla fine del 2021 non avremo a disposizione un vaccino contro il Covid-19: dipenderà dai risultati e da altri fattori. Si tratta comunque di tempistiche ridotte, con un’abbreviazione dettata dalla pandemia, rispetto alla normale procedura che per il perfezionamento di un vaccino prevede tra i cinque e i sei anni di studio. «La velocità non deve andare a scapito della sicurezza e della qualità dei dati raccolti», conclude Milleri. L’obiettivo è dimostrare di avere a disposizione una immunizzazione sicura ed efficace, chiarendo comportamento e posologia di somministrazione. [M. Bic.]
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