È corsa al vaccino per proteggersi dall’influenza
L’allarme di Federfarma: le dosi potrebbero non essere sufficienti a coprire il fabbisogno
Dopo la corsa alle mascherine, divenute merce rara e introvabile nelle settimane d’esordio della pandemia, il prossimo autunno potrebbe essere segnato da un’altra carenza, stavolta nel numero di dosi di antinfluenzale messe a disposizione della popolazione. La questione non è affatto banale, se si considera che al momento la vaccinazione contro l’influenza è tra le poche “armi” da sfoderare per facilitare la diagnosi differenziale: non protegge dal contagio da Covid-19, sia bene inteso, ma aiuta a circoscrivere i sintomi e a evitare di sovraffollare gli ospedali all’esordio di febbre o tosse riconducibili a malanni di stagione.
Insomma: la consapevolezza di quanto, quest’anno, sia importante la vaccinazione è diffusa più che in passato. E, dalle impressioni raccolte da dietro i banconi, lo confermano i farmacisti aderenti a Federfarma Veneto, i cui ragionamenti procedono ben oltre. Se già adesso (ed è così) i cittadini chiedono informazioni e vogliono prenotare i vaccini antinfluenzali per tempo (perché comunque la faccenda delle mascherine qualcosa probabilmente ha insegnato...), le quantità saranno sufficienti a coprire tutte le richieste? Non solo: ci sarà abbastanza personale da dedicare alla somministrazione, nel momento in cui il sistema sanitario già scricchiola perché oberato dalla mole di tamponi da effettuare?
«Effettivamente la popolazione è più sensibile rispetto agli anni precedenti: a fine agosto sono arrivate le prime richieste di prenotazione sia da parte di privati sia di aziende che, in regime privatistico, desiderano vaccinare i propri dipendenti», conferma Andrea Bellon, presidente dell’Unione regionale dei titolari di farmacia. Al momento, però, per i farmacisti non è possibile né soddisfare le richieste né dare tempistiche certe: da qui la necessità di avere maggiori disponibilità e garanzie da parte della Regione e del Governo.
Sono le cifre a inquadrare meglio la questione: «Ad oggi è garantito solamente l’1,5% del quantitativo prenotato dalle Regioni, che è irrisorio se tradotto in numeri reali. Considerato che in Veneto ci sono circa 1.500 farmacie, corrisponde a 10-15 vaccini a esercizio commerciale. Una cifra ridicola», fa notare il referente di Federfarma Veneto. Nemmeno la disponibilità è scontata, anzi: «È un grande punto interrogativo con la recrudescenza dell’epidemia da nuovo Coronavirus in atto in altri Paesi europei», incalza. Ed è, di conseguenza, corsa alle dosi: «In ballo c’è la possibilità che le aziende produttrici straniere riescano a fornire all’Italia un quantitativo superiore rispetto a quello prenotato. Il Veneto avrà circa 1 milione 400mila vaccini, il 40% in più del 2019, ma la popolazione è di 5 milioni di abitanti e il fabbisogno potrebbe essere più alto».
Se ora l’obiettivo è favorire la diagnosi differenziale tra l’influenza stagionale e il Covid-19, spiega, la platea dei soggetti da vaccinare non include solamente le fasce a rischio come bambini, anziani, pazienti con diverse patologie prime fra tutte quelle respiratorie, cardiocircolatorie o diabete (che saranno negli elenchi della campagna vaccinale gratuita messa in campo dalle Ulss). Si devono aggiungere poi le persone socialmente attive, come lavoratori e studenti, per la forte interazione sociale e mobilità che le caratterizza nell’esercizio della professione o nel tempo libero, sebbene non ritenute a rischio.
«Servirebbe una strategia precisa, che al momento non c’è. Ed è un problema che vogliamo portare all’attenzione delle istituzioni», denuncia Bellon. Procede in tale direzione la proposta dei “farmacisti vaccinatori”, coi camici bianchi adeguatamente preparati per inoculare il vaccino antinfluenzale, una volta acquisite le necessarie competenze scientifiche oltre che immunologiche. «Il farmacista è il professionista del farmaco, non vuole sostituirsi a medico e infermiere – chiarisce –. Come categoria, in un momento di emergenza sanitaria in cui è emerso sarà necessario vaccinare un numero elevato di popolazione, vogliamo dare un segnale di disponibilità».
Attualmente tutto è fermo a livello di proposta, fa eco la presidente di Federfarma Verona, Elena Vecchioni: «Auspichiamo che la farmacia possa essere parte integrante e supportare il sistema sanitario nazionale, anche per l’eventuale somministrazione dell’antinfluenzale». Tuttavia ci sono alcuni nodi da sciogliere, prosegue: «Innanzitutto la preparazione, per questo buona parte dei farmacisti sta prendendo parte a un corso di formazione, per garantire il massimo livello di professionalità, promosso dall’Unione tecnica dei farmacisti in collaborazione con il dipartimento di scienza e tecnologia del farmaco dell’Università di Torino. Siamo fermi a una legge del 1932, quindi al momento il farmacista non può inoculare il vaccino e attendiamo che il Governo renda attuabile questa possibilità».
L’adesione all’iter formativo è stata a Verona piuttosto ampia: alla parte teorica, effettuata in modalità on line, dal 27 settembre si affiancherà la simulazione pratica. In preparazione del mese di ottobre, periodo in genere dedicato all’avvio della campagna vaccinale, che dovrà garantire una copertura ottimale fino ai mesi di febbraio e marzo. Il ministero della Salute suggeriva, nell’anno della pandemia, di anticipare le tempistiche rispetto al passato. Ipotesi comprensibile, non facile da mettere in atto come potrebbe sembrare, con il rischio di intasare il sistema: «Vi sono dei tempi tecnici da rispettare dettati dalla fornitura del vaccino, inoltre le Ulss devono recuperare le dosi dalla Regione e distribuirle. Ci auguriamo che tutto vada a favore di un leggero anticipo, per il bene comune della cittadinanza».
In queste settimane la situazione è in continuo divenire, conclude Vecchioni: «Più collaboriamo al contenimento del contagio, minori saranno i disagi che si riverseranno nella realtà sociale ed economica del nostro Paese. Puntiamo a un lavoro di rete per la tutela della salute pubblica in cui la farmacia può avere un ruolo chiave in virtù della sua capillarità nel territorio, per aiutare a proteggere la popolazione. In particolare nella ruralità, cioè nei luoghi in cui uno studio medico o il distretto sanitario sono lontani da raggiungere. E la farmacia rimane un punto di rifermento, sicuro, a cui i cittadini si possono rivolgere».
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