Dopo la pandemia ci aspetta una nuova pandemia
di MARTA BICEGO
La biologa: «Abbiamo fatto tanto. Non dimentichiamocene»

di MARTA BICEGO
«Abbiamo imparato tanto e acquisito moltissime conoscenze. Ora abbiamo la consapevolezza di poter contrastare una pandemia, però non dobbiamo dimenticare tutto quello che è accaduto». Da gennaio 2022, la biologa Concetta Castilletti è responsabile del Laboratorio di Virologia e Patogeni emergenti del dipartimento di Malattie infettive e tropicali e Microbiologia dell’Irccs Sacro Cuore don Calabria di Negrar. Studia i patogeni, osserva l’imprevedibilità delle loro mutazioni. Cinque anni fa lavorava all’Istituto Spallanzani di Roma, nel team che a fine gennaio 2020 isolò e sequenziò, come pochissimi centri al mondo erano riusciti a fare fino a quel momento, il virus Sars-Cov-2 dai campioni clinici della coppia di turisti cinesi, originari della provincia di Wuhan, in vacanza nella capitale.
Quanto accadde è parte di una storia dolorosa, di una prova durissima che abbiamo dovuto affrontare, di un dramma dal punto di vista sia sanitario che umano. «Quando i due coniugi iniziarono a riprendersi, ricordo che un collega disse: “Hai visto? Ce l’abbiamo fatta anche stavolta” – ricostruisce Castilletti –. Poi è successo quello che è successo, fino al paziente 1 di Codogno. All’inizio era difficile prevedere cosa sarebbe accaduto». Uno tsunami di una portata tale che nemmeno i numeri – almeno 777 milioni di persone infettate e 7 milioni di morti secondo le stime dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) – riescono tuttora a tratteggiare.
– Abbiamo delle informazioni in più, oggi, in merito alla diffusione del contagio?
«Da sempre sono stata fermamente convinta che si trattasse di uno spillover, cioè di un virus proveniente dagli animali, trasmesso all’uomo attraverso un salto di specie. Era accaduto anche nel 2003 con la Sars (la Sindrome acuta respiratoria grave). Che ci sia stato un passaggio dall’animale all’uomo o che il virus sia stato isolato in laboratorio e poi sia avvenuto il contagio inconsapevolmente, poco cambia. Tuttora non ci sono evidenze scientifiche sul fatto che si sia trattato di un virus creato in laboratorio».
– Che cosa ha fatto la differenza nel caso del Covid-19?
«Rispetto alla Sars, il tasso di contagiosità elevato in fase pre-sintomatica. Questo potrebbe aver causato una diffusione del virus molto rapida in Europa e nel mondo».
– Oggi il virus non è affatto scomparso, circola ancora con varianti che sembrano essere meno aggressive. Come è evoluto?
«Come tutti i patogeni, la Sars-Cov-2 si è adattata a noi e noi ci siamo adattati al virus, che oggi non è lo stesso di cinque anni fa. Il risultato più importante, e non si pensava ci saremmo riusciti, è stato produrre dei vaccini efficaci, in brevissimo tempo. Questa è stata la nostra grande capacità e fortuna. Non dobbiamo dimenticarlo. Come non dobbiamo tralasciare gli esiti che la pandemia ha lasciato dal punto di vista clinico ed emotivo».
– Purtroppo l’Italia, e non solo, è un Paese dalla memoria corta. Sembra che la lezione della pandemia non sia servita abbastanza...
«Ne siamo usciti grazie ai vaccini, al lockdown e a decisioni difficili da prendere, che si sono verificate giuste. Nel futuro saremo più pronti, ma questo non significa poter abbassare la guardia».
– Come comunità scientifica, vi siete dati degli obiettivi?
«Chi si occupa di patogeni emergenti è consapevole di dover essere sempre all’erta. Ma proprio per la voglia di dimenticare che caratterizza il nostro e altri Paesi, talvolta si tende a negare le evidenze. La comunità scientifica da sola non può farcela. Oggi l’attenzione della comunità scientifica verso alcuni virus è altissima, ma da sola non basta: la questione è anche politica».
– Siamo a rischio di una nuova pandemia?
«Ci sarà sicuramente un’altra pandemia. Non è niente di nuovo, ma non sappiamo quando. Al giorno d’oggi ci si sposta con estrema facilità, le comunicazioni sono più semplici e questo facilita la diffusione dei patogeni».
– Ci sono patogeni sotto particolare sorveglianza?
«Oggi ciò che più dovrebbe farci preoccupare è l’influenza aviaria. Non sono da meno le antibiotico-resistenze. La cosa più importante è non negare e non dimenticare, facendo tesoro di quello che è successo. Non mettere a frutto le conoscenze e le capacità acquisite è inconcepibile. Il Covid-19 ci ha fatto capire che siamo in grado di fare tanto e in fretta insieme, per un bene comune che non ha confini. Questo non deve essere dimenticato».
Foto akkamulator@123RF.com
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