«Un sogno realizzato: in Bmx con mio figlio»
di ERNESTO KIEFFER
Manuel De Vecchi, ex campione della disciplina olimpica, fra ricordi del passato ed emozioni del presente
di ERNESTO KIEFFER
È stato l’unico rappresentante italiano alle Olimpiadi di Pechino 2008 e Londra 2012 nella sua disciplina, la Bmx. E oggi, dopo alcuni anni di fisiologico stop, una volta finita la carriera agonistica, ha deciso di ricominciare a correre, seguendo le gare del figlio che ne ha ereditato la grande passione. Stiamo parlando del campione veronese classe 1980 Manuel De Vecchi, che ha deciso di aprirci il cassetto dei suoi ricordi.
– De Vecchi, quali sono state le sue emozioni in Cina e in Gran Bretagna?
«Nel 2008 la Bmx ha esordito per la prima volta alle Olimpiadi. Io all’epoca avevo già 28 anni e per me sarebbe stato meglio se questo sport fosse diventato olimpico qualche anno prima. A parte qualche eccezione, infatti, l’età media dei più grandi atleti è di 21-22 anni. Io ero dunque quasi a fine carriera e sono già stato fortunato a riuscire a partecipare ai Giochi anche quattro anni dopo. Ammetto, però, che mi sarebbe piaciuto farne anche qualcuna in più».
– Partecipare a un’Olimpiade rappresenta per un atleta già un grandissimo risultato. Figuriamoci a due…
«A Pechino mi sono qualificato io singolarmente e non con la squadra dell’Italia, che non era riuscita nell’intento. All’epoca, su 32 atleti, se ne qualificavano 26 per ranking e sei in base alle qualificazioni, anche se due posti andavano di diritto alla nazione ospitante. Quindi ai Mondiali del maggio 2008 dovevo qualificarmi fra i primi e non avevo altre chance. Arrivai nono, ma ero comunque primo fra quelli che non risultavano già qualificati per ranking. Quando scoprii di aver staccato il biglietto per Pechino ricordo di aver provato una gioia immensa. Il giorno dopo quella gara, poi, rilassato e sereno nel cruiser feci un’ottima gara e ottenni la medaglia d’argento».
– Ha qualche rammarico?
«L’obiettivo per tutti gli atleti è sempre quello di riuscire a vincere almeno una medaglia, ma io con tutta onestà puntavo ad arrivare almeno in finale, riuscendoci. La finale fu bellissima, ma non arrivai fra i primi tre. Peccato, perché quel risultato avrebbe potuto dare un notevole impulso al movimento, in termini di visibilità e quindi di nuovi iscritti. L’Olimpiade, in questo senso, è una grande occasione per gli sport cosiddetti minori. Certo, anche i campionati mondiali sono importanti, ma i Giochi sono un’altra cosa, non fosse altro per il fatto che si svolgono ogni quattro anni».
– Ha poi avuto un erede veronese, Giacomo Fantoni, che nella stessa Bmx ha partecipato alle ultime Olimpiadi di Tokyo 2020. «Sì, d’altronde Verona è a tutti gli effetti la capitale italiana della disciplina. Un po’ per il numero di piste nel nostro territorio (tre, ndr), un po’ per i numeri del movimento, visto che siamo quelli che hanno più atleti, circa 300, con tre squadre che contano ciascuna circa un centinaio di praticanti. Nel 2013, poi, hanno costruito la pista di via Sogare di livello mondiale dove si sono già disputate gare importanti come Campionati italiani e d’Europa e l’anno prossimo si svolgeranno proprio qui i Campionati mondiali assoluti. Anche Vicenza, soprattutto a livello di giovanissimi, può dire la sua, ma alle Olimpiadi di fatto è stata Verona a mandare due atleti. Fantoni oggi è il mio allenatore. Da quando ho ricominciato a correre, pur essendo io più vecchio di lui, mi dà consigli su cosa e dove migliorare…».
– Fantoni tenterà di arrivare a Parigi. Quante chance gli dà?
«Non sarà semplice, visto che hanno ridotto il numero dei partecipanti da 32 a 24. Anche questa volta l’Italia non è riuscita a qualificarsi come nazionale e quindi Giacomo dovrà trovare la sua qualificazione singolarmente. A Tokyo c’era riuscito, ma al Mondiale di maggio ci sarà a disposizione soltanto un posto. Potrebbe tentare il blitz anche un altro italiano, Martti Sciortino, molto forte. Vedremo. Se ci riuscirà, comunque, per Giacomo quella all’Olimpiade sarà per motivi anagrafici (visto che ha quasi 33 anni) l’ultima gara ufficiale. Dall’anno prossimo gareggerà solo in categoria master».
– Eccellere a livello mondiale in qualsiasi sport è sempre complicatissimo. In vista di un appuntamento come quello delle Olimpiadi che tipo di preparazione si deve approntare? «Un giovane ovviamente si allena principalmente per quell’obiettivo, che arriva ogni quattro anni e quindi studia tutta la sua preparazione e crescita a livello atletico e mentale in modo da arrivare pronto a quel fondamentale appuntamento. Chi invece è già in categoria élite e ha qualche anno in più sulle spalle, dopo un po’ di tempo comincia a considerare l’Olimpiade – almeno per il tipo di preparazione – alla stregua di un Mondiale, che si svolge tutti gli anni. In generale, comunque, durante la stagione ci si pongono vari obiettivi, con gare di importanza secondaria, quelle dei vari circuiti nazionali, e gare di importanza primaria, come appunto un Mondiale e l’Olimpiade. E ci si organizza gli allenamenti in modo da entrare in forma durante quell’evento primario».
– Che ricordi ha di quell’esperienza?
«L’Olimpiade mi ha stupito moltissimo per il patriottismo che emerge in quell’occasione e il sentirsi sempre parte (e rappresentanti) di una nazione. All’interno del Villaggio Olimpico c’è Casa Italia, dove soggiornano gli atleti italiani, a turno e in base alla data del proprio impegno sportivo nel corso dei Giochi. Quando un qualsiasi atleta italiano disputa la sua gara tutti gli altri, se non sono impegnati in gare o allenamenti, si ritrovano davanti alla tv a tifare per lui, anche se non conoscono la persona e non sanno nulla della disciplina. Umanamente parlando è come se tutti gli atleti fossero amici. Ricordo che anche quelli più in vista, come ad esempio Federica Pellegrini, supportavano degli emeriti sconosciuti come il sottoscritto con grande passione. Perché in fondo siamo tutti lì per lo stesso motivo: rappresentare al meglio il nostro Paese. Poi è molto bello confrontarsi con atleti di tutto il mondo e di tutte le discipline. Mangi con loro in mensa, ti ritrovi in palestra, nei parchi. Si chiacchiera e si instaurano amicizie e con alcuni mi sento ancora, a distanza di tempo. Ricordo, però, che Usain Bolt e i giocatori di basket americani, all’epoca stra-famosi, non vivevano con noi nel Villaggio Olimpico. Fra richieste di selfie e autografi non avrebbero avuto vita semplice, in effetti».
– Che consigli darebbe a un ragazzo che si vuole approcciare al vostro sport, per molti aspetti considerato di nicchia? «La Bmx è uno sport sano e sicuro. Siamo lontani dai pericoli della strada in quanto, pur fra salti e spericolatezze varie, siamo in uno spazio chiuso e indossiamo caschi e protezioni. Certo, bisogna essere un po’ amanti dell’adrenalina, perché si fanno enormi salti con la bici. Però se ti piace questo tipo di brivido o sensazione, allora vuol dire che anche la Bmx fa per te. Poi c’è da dire che nelle altre nazioni (soprattutto in Francia e Olanda che infatti eccellono nel ciclismo) la Bmx è obbligatoria fino ai dodici anni, perché in grado di creare quella “base” di tecnica necessaria per tutti i livelli di ciclismo. Da piccoli non abbiamo difetti da correggere e possiamo imparare senza paura la tecnica, che dopo diventa più complicata da assimilare. In Italia, da sempre più tradizionalista, la Bmx non viene invece molto considerata e si preferisce gettare un ragazzo subito in strada, a farsi le ossa. Un bimbo, però, deve innanzitutto divertirsi e non credo che i nostri giovanissimi atleti si divertano poi così tanto, quando passano ore e ore in strada, in rettilinei, ad allenarsi».
– Ecco, a proposito di bambini, ce n’è uno che l’ha riportata a cavalcare nuovamente la sua vecchia bicicletta.
«Sì, mio figlio Liam, del 2014, che quindi compirà dieci anni quest’anno. È arrivato quarto quest’anno ai Campionati italiani e addirittura terzo l’anno prima. Ho cominciato due anni fa ad accompagnarlo e così, per non stare con le mani in mano solo a guardarlo, ho deciso di ricominciare, insieme a lui. Non c’è cosa più bella che condividere una passione con tuo figlio. Lo sognavo fin da giovane, da prima che nascesse, e ora mi godo questo momento».
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