«Lo sport concede sempre l'opportunità di rimediare»
di ERNESTO KIEFFER
In un libro Sara Simeoni si racconta svelando i retroscena di una carriera sportiva ai massimi livelli
di ERNESTO KIEFFER
“Tra gli alti dei miei salti e i bassi di qualche sconforto ho imparato che la vita ha questo di meraviglioso: si può riaccendere in qualsiasi momento, anche quando sei seduta da sola su una panchina e ti senti inutile e ti viene da piangere. Anche sulla soglia dei 70 anni. Basta conservare lo spirito dei 20”. L’ex saltatrice in alto Sara Simeoni conclude con queste parole il libro scritto a quattro mani con il vicedirettore di Rai Sport Marco Franzelli Una vita in alto (edito da Rai Libri) presentato la scorsa settimana alla libreria Feltrinelli di Verona. Simeoni, personaggio amato come pochi altri, ha saputo raggiungere nella sua lunga carriera risultati eccezionali, aprendo la strada alle donne nello sport ad alto livello.
A decretare, però, il suo recente successo è stato anche il suo modo di porsi a livello mediatico, sincero e divertente, nella trasmissione Il circolo degli anelli che nel corso dell’Olimpiade di Tokyo dello scorso anno vide come grande protagonista proprio l’ex atleta veronese. Sara Simeoni in quell’occasione riuscì a entrare in piena sintonia con i linguaggi del nostro tempo, tanto da diventare presto, sui principali social network, di tendenza, soprattutto fra i ragazzini. In quell’occasione, insomma, ha avuto il merito di far capire al pubblico più giovane che lo sport può essere vissuto seriamente quando si pratica, ma anche con allegria e spirito di leggerezza. «Io uso soltanto Facebook e solo per ricordarmi dei compleanni dei miei amici, visto che non mi ricordo mai nulla», ha scherzato durante l’incontro con il pubblico scaligero.
«Ho sempre pensato di essere una privilegiata, avendo fatto nella mia vita qualcosa che può dare soddisfazioni, notorietà e l’opportunità di viaggiare. Ho, però, sempre pensato anche che se si sbaglia una gara in fondo non succede nulla di grave, perché lo sport per fortuna ti concede sempre l’opportunità di rimediare nella gara successiva». L’eterna ragazza di Rivoli Veronese svela nel suo libro, attraverso retroscena e aneddoti curiosi, i momenti salienti di una carriera che l’ha portata nel 2014 a essere nominata “Atleta del centenario” in occasione dei cento anni del Coni. Fra i momenti più importanti la commentatrice televisiva ricorda ovviamente quel 4 agosto 1978, quando a Brescia stabilì con 2,01 metri il record del mondo nel salto in alto. «Era un periodo in cui stavo bene, tanto che soltanto dieci giorni prima, in Finlandia, avevo già migliorato il record italiano. Mi ero accorta in quell’occasione che avrei potuto provare ad attaccare i due metri e così feci a Brescia. Andò bene e da quel momento la mia vita cambiò radicalmente. Ricordo che quando tornai in albergo quella sera per festeggiare con le mie amiche le trovai tutte in lacrime per la commozione. Invece che ridere e scherzare ci ritrovammo così tutte a piangere».
Durante quella stessa estate del ’78, peraltro, ai Campionati europei a Praga dove affrontava Rosemarie Ackermann, ex primatista a cui aveva appena tolto il record, Simeoni riuscì a ripetersi e a vincere nuovamente, dimostrando ancora una volta di essere in quel momento la più forte saltatrice del circuito femminile. All’epoca, durante l’inverno, gli atleti si recavano spesso all’estero, nelle zone più calde del globo, per poter continuare la preparazione in vista della stagione estiva di gare. E Sara Simeoni nel suo libro racconta con l’occhio attento dell’osservatrice gli incontri, i luoghi e le tradizioni che ha avuto modo di osservare durante quei mesi di allenamenti lontano dall’Italia. In particolare il suo occhio si è soffermato sulle esperienze in Africa e nei Caraibi, dove Simeoni è stata letteralmente conquistata da una popolazione povera ma allegra e con uno stile di vita caratterizzato spesso da ritmo e musica, ricreata nella maggior parte delle volte con strumenti di fortuna ma non per questo meno coinvolgente.
Il momento senza dubbio più alto fu la medaglia d’oro alle Olimpiadi di Mosca 1980, dove, nonostante il boicottaggio degli Stati Uniti, c’erano tutte le avversarie più forti dell’epoca, concentrate in maggior parte nell’Europa dell’Est. In quella occasione Simeoni fece commuovere anche il telecronista Rai, Paolo Rosi, che aveva fama di burbero e che invece si sciolse insieme a milioni di italiani. «Per me le Olimpiadi hanno sempre avuto un significato particolare, quasi mitologico. E non solo perché è la gara per eccellenza, quella in cui si affrontano da sempre gli atleti più forti, ma anche perché è l’unica occasione in cui sono rappresentate tutte le nazioni del mondo. Ricordo che la sera della finale allo stadio Lenin c’era uno sparuto gruppetto di italiani a tifare per me e questa cosa mi emozionò moltissimo, al punto da mandarmi in confusione. Avevo il cuore che mi batteva fortissimo e temevo che le mie avversarie potessero addirittura sentirlo. Poi riuscii a calmarmi e a ritrovare nuovamente la concentrazione, tanto da trovare anche la vittoria».
Tanti i successi della sua carriera, ma non sono mancati i momenti difficili, soprattutto quelli caratterizzati dagli infortuni, che spesso hanno condizionato le sue performance. Forse anche per questo motivo la gara più bella della sua carriera è stata quella disputata a Los Angeles nel 1984, alla sua quarta e ultima Olimpiade (dopo quelle di Monaco di Baviera ’72, Montreal ’76 e appunto Mosca ’80), quando vinse un’insperata medaglia d’argento. «Arrivai in California da infortunata – ha spiegato –, mi ero allenata poco e non avevo alcun tipo di aspettativa, se non la volontà di raggiungere almeno la finale. E invece non solo riuscii ad arrivarci, ma anche salii sul podio. Ero talmente felice che dopo l’ultimo salto abbracciai il primo malcapitato che mi ritrovai a tiro, un fotografo, che si prese tutto il mio entusiasmo». In quell’occasione Simeoni fu anche la portabandiera della spedizione azzurra. «Me l’avevano comunicato soltanto poche ore prima della sfilata. Ero contenta ma anche consapevole della grande responsabilità. Il portabandiera è scelto non solo fra chi gareggia nell’atletica ma fra tutti gli atleti, di ogni sport, e questo mi diede un ulteriore motivo di carica».
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