Quando arriva la primavera è tempo di dare spazio alla poesia
Chissà cosa aveva in mente Roberto Benigni quando nei giorni dell’equinozio di autunno del 2005 fece uscire La tigre e la neve. Forse omaggiare l’amico Massimo Troisi e il suo capolavoro Il postino, uscito con l’equinozio autunnale 1994. Sicuramente lodare la poesia, con la presenza in ogni sogno notturno di grandi poeti e continui omaggi alla quinta arte (e alle sue sorelle)...
Chissà cosa aveva in mente Roberto Benigni quando nei giorni dell’equinozio di autunno del 2005 fece uscire La tigre e la neve. Forse omaggiare l’amico Massimo Troisi e il suo capolavoro Il postino, uscito con l’equinozio autunnale 1994. Sicuramente lodare la poesia, con la presenza in ogni sogno notturno di grandi poeti e continui omaggi alla quinta arte (e alle sue sorelle). Probabilmente anche attualizzare la logica de La vita è bella, ovvero che la poesia sempre permette di dare senso a ciò che si sta vivendo, sia esso segnato da nazismo, terrorismo o Coronavirus. La chiave di lettura ci viene offerta all’inizio, quando Tom Waits canta “You can never hold back spring” (Non puoi mai trattenere la primavera). Proprio il primo giorno di primavera, 21 marzo, dal 1999 si celebra la Giornata mondiale della poesia. È il giorno di un equinozio ovvero della massima simmetria e armonia, ma allo stesso tempo l’apertura della stagione più folle, frizzante, incontrollabile, creativa: caratteristiche che rientrano tutte nella poesia. Da sempre l’uomo prova a leggere l’esistenza e le sue vicende anche con sguardo e animo poetico, prima ancora che Aristotele (384-322 a.C.) nella Poetica analizzasse le varie arti poetiche e ne dichiarasse la superiorità rispetto a qualsiasi altra forma espressiva per la capacità di imitazione e di elevare ad universale un qualsiasi particolare. Dopo i possenti versi che cantavano le origini delle diverse popolazioni (tra tutti i greci con Omero), i latini si interrogarono se la poesia si dovesse occupare solo di amore ed ozio, o fosse una lente con cui guardare e cantare tutta la realtà. I giganti a fondamento della nostra cultura italiana (Francesco d’Assisi, Dante, Boccaccio, Petrarca) ci hanno donato uno stile poetico nella lingua con cui comunichiamo (universalmente considerata un tesoro di musicalità, varietà, libertà, dolcezza) e nel vivere. Mussolini nel 1935 usò la scusa di essere un popolo di poeti (oltre che di santi, navigatori e molto altro) per rinsaldare le fila interne e giustificarsi davanti all’opinione pubblica internazionale dopo l’invasione dell’Abissinia. La poesia – come altre forme di arte – in epoca contemporanea corre il rischio di risultare autoreferenziale, poco empatica, troppo staccata dalla vita e dalla gente; l’artista Simone Colombari ne fa un’ironica denuncia con i suoi personaggi a Sei Uno Zero su Radio2. Dall’altra parte si è diffuso tra la gente uno stile poetico che interpella positivamente. In effetti, se Adriano Celentano nella trasmissione Rockpolitik (anch’essa del 2005) divideva tutto in rock e lento, forse si può riconoscere un modo poetico e non di essere al mondo, di vivere le relazioni e di fare le proprie scelte, di affrontare la quotidianità e anche gli imprevisti, persino quelli di un dramma collettivo come il Coronavirus. A far da discrimine lo scommettere su equilibrio, armonia, apertura ad un tu, elevazione ad altro, attenzione al ritmo, rispetto delle regole interne ed esterne.
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