Riflessioni e confidenze del Vescovo
Con la prima domenica di Avvento, in tutte le diocesi del Triveneto entrerà in vigore il nuovo Messale. Poiché la stessa preghiera del Padre nostro ha subìto qualche trasformazione linguistica e contenutistica, colgo l’occasione per andare alla riscoperta dei suoi contenuti divini assieme alla mia diocesi. Lo faccio in cinque scansioni. In forma di colloquio confidenziale...
Con la prima domenica di Avvento, in tutte le diocesi del Triveneto entrerà in vigore il nuovo Messale. Poiché la stessa preghiera del Padre nostro ha subìto qualche trasformazione linguistica e contenutistica, colgo l’occasione per andare alla riscoperta dei suoi contenuti divini assieme alla mia diocesi. Lo faccio in cinque scansioni. In forma di colloquio confidenziale. Narro, con la confidenza di pastore d’anime, ciò che questa preghiera di Gesù dice a me; l’eco, la risonanza che ha nella mia mente e nel mio cuore; che cosa evoca in me, quando ho la possibilità di pregare il Padre nostro con calma. Dato però che il suo contenuto è inesauribile, sarebbe interessante ed estremamente fecondo il comunicarsi confidenziale di ciò che ispira il Padre nostro a livello di famiglia, di gruppi, di preti, di consacrati/e. Sarebbe un regalo reciproco prezioso, in quanto le confidenze consegnerebbero squarci sempre inediti della medesima preghiera. Del resto, nemmeno le traduzioni sono in grado di riprodurne alla perfezione, e nell’assoluta completezza, il testo originale, che trascende ogni possibile traduzione e ogni personale risonanza.
Nelle mie confidenze si potrà intercettare l’eco del Catechismo della Chiesa Cattolica, ma anche il commento che ha fatto del Padre nostro san Cipriano e, soprattutto, sant’Agostino nella lettera 130 a Proba.
Non c’è dubbio che dopo l’Eucaristia, la preghiera del Padre nostro è la più sublime, capace di raccogliere l’eco dei Salmi e di tanti altri testi eucologici, cioè espressi in preghiera, della Bibbia. Di fatto è la preghiera che dà e tiene dato il “la” ad ogni vera preghiera, al punto che, al dire di sant’Agostino, il cristiano nella preghiera può usare parole diverse da quelle del Padre nostro, ma mai scostarsi dai suoi contenuti.
Da notare che l’uomo per natura è un essere orante. La preghiera è la forma più espressiva della religiosità naturale dell’uomo. Svela un bisogno metafisico dell’uomo, quando, rientrando in se stesso, si pensa e si scopre creatura, cioè un essere derivato da un Altro. Allora, dal suo cuore scaturiscono espressioni di adorazione, stupore, gratitudine, venerazione, sacro timore, supplica, richiesta di protezione, di benefici o di perdono. Tuttavia, in nessuna religione, monoteista o politeista, e nemmeno nella Bibbia, ci è dato di riscontrare una preghiera che inizi con “Padre” o persino “Papà” riferito a Dio! È una esclusiva della preghiera insegnata da Gesù e da Lui consegnata ai suoi discepoli, perché la trasmettano all’umanità intera. Ne possediamo due edizioni: Matteo 6,9-13 e Luca 11,2-4.
Matteo inserisce la preghiera del Padre nostro nel contesto del discorso della montagna, più precisamente nel trittico: elemosina, digiuno e preghiera. In sintesi: «Quando pregate non siate come gli ipocriti che amano farsi vedere... entra nella tua camera e prega nel segreto e il Padre tuo che vede nel segreto ti ricompenserà... e quando pregate non sprecate vane parole, come i pagani... il Padre vostro sa già ciò di cui avete necessità, ancor prima che glielo chiediate... Così dunque pregate voi: Padre!». E la conclude facendo appello alla disponibilità al perdono.
Luca colloca la sua edizione del Padre nostro dopo la richiesta dei discepoli fatta a Gesù di conoscere i segreti della sua preghiera quando si appartava. Lo riconoscono come il loro Maestro. Anche Lui insegni dunque a pregare, come aveva fatto Giovanni Battista con i suoi discepoli. Questa l’edizione di Luca: «Padre, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno. Dacci ogni giorno il pane necessario alla nostra vita. Rimetti a noi i nostri peccati come anche noi a chi è nostro debitore. Non abbandonarci alla tentazione».
Nella preghiera consegnata ai suoi, si capisce che cosa sta sommamente a cuore a Gesù. È la preghiera della pienezza dei tempi, quando la Provvidenza ha predisposto che l’uomo potesse entrare in relazione dialogica confidenziale e tenerissima con Dio Padre, avendo come mediatore Gesù Cristo fatto uomo, nell’abbraccio dello Spirito Santo. È proprio lo Spirito Santo il protagonista della preghiera di Gesù, come svela Paolo nella lettera ai Galati e in quella ai Romani. È lo Spirito Santo infatti che grida in noi: “Abbà! Papà!”. Ecco, in definitiva, a Chi è rivolta la preghiera: al Padre, per la mediazione di Cristo, nell’afflato dell’amore dello Spirito Santo. Proprio come ci fa fare la liturgia eucaristica, prima della proclamazione del Padre nostro, in quella che viene definita dossologia, cioè inno di glorificazione: “Per Cristo, con Cristo, e in Cristo, a Te, Dio Padre onnipotente, nell’unità dello Spirito Santo, ogni onore e gloria per tutti i secoli dei secoli. Amen”.
Rivolgendosi al Padre, il credente consegna se stesso e l’umanità nelle sue mani, per vivere secondo i suoi desideri e poter amare l’umanità come la ama Lui, amandola a nome suo. Allora la preghiera del Padre nostro è l’atto di benevolenza più sublime nei confronti dell’umanità, nei suoi travagli. Non è mai alienazione dalla storia. Tanto meno le monache e i monaci di clausura sono alienate/i; sono immersi nell’umanità e portano a Dio le situazioni travagliate dell’umanità, facendosene carico. In Gesù Cristo, loro Sposo speciale. Che è il Signore dell’universo e della storia.
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