Dio rivolge il suo sguardo benevolo su di noi
Come abbiamo rilevato, nella prima parte del Padre nostro Gesù fa rivolgere lo sguardo di fede del credente su Dio, Mistero di Amore trinitario, che ha il suo principio nel Padre, sulla sua santità, sul suo regno, sulla sua volontà. Nella seconda parte Gesù ci autorizza a chiedere al Padre di volgere il suo sguardo benevolo e misericordioso su di noi, per invocare da Lui quanto ci è necessario per vivere da figli nel Figlio...
Come abbiamo rilevato, nella prima parte del Padre nostro Gesù fa rivolgere lo sguardo di fede del credente su Dio, Mistero di Amore trinitario, che ha il suo principio nel Padre, sulla sua santità, sul suo regno, sulla sua volontà. Nella seconda parte Gesù ci autorizza a chiedere al Padre di volgere il suo sguardo benevolo e misericordioso su di noi, per invocare da Lui quanto ci è necessario per vivere da figli nel Figlio. Che cosa in concreto? Quattro cose: il pane quotidiano; il perdono delle nostre colpe; il soccorso nelle situazioni di prova e la protezione dal maligno. Passiamo in rassegna queste quattro richieste, abbinandole. Dapprima il pane e il perdono; in seconda scansione, il soccorso e la protezione. Riserviamo queste ultime due richieste alla prossima conversazione.
Dacci oggi il nostro pane quotidiano
La prima richiesta al Padre riguarda il pane che ci è necessario nella quotidianità per la totalità del nostro essere umano. Totalità dell’essere espressa dal termine greco epioùsion. Quale sia tale essere umano, nelle sue tre dimensioni, ce lo svela l’apostolo Paolo, nella sua prima lettera ai Tessalonicesi: “Tutto ciò che è vostro: spirito, anima e corpo” (1 Ts 5,5). Dio conosce bene la nostra costituzione. Ci ha fatti Lui. Noi siamo dono suo. Siamo suoi figli. E ciò di cui abbiamo bisogno è pure dono suo, assoluta gratuità. Lo sa Lui ciò di cui abbiamo necessità vitale e ce ne segnala l’ambito, oltre il quale sta il superfluo, da non ricercare e da non chiedere. Dunque l’uomo ha bisogno di un nutrimento per la sua corporeità, per la sua anima (o mente), per il suo spirito o facoltà di relazione interpersonale carica di amore. Anzitutto per la sua corporeità, cioè per il suo corpo in evoluzione, grazie al metabolismo. Gli chiediamo il dono del pane (arton), per indicare ogni utile alimento. E riconosciamo che tale pane è anzitutto dono suo, frutto della terra, del sole, delle piogge, delle potenzialità trasformative della natura creata, senza dimenticare comunque che è frutto anche del lavoro dell’uomo, cioè della sua collaborazione sapiente con l’opera di Dio, imparando da Lui la gratuità della solidarietà con chi manca del pane quotidiano. Chi osa recitare il Padre nostro si imbatte con i problemi da esso suscitati. E se è deciso a recitarlo, non può far finta che non esistano. Si tratta del dramma inumano della povertà e della fame nel mondo, per colpa dell’egoismo umano. Purtroppo l’egoismo sfrenato, cioè la libidine dell’avere, riduce l’umanità alla povertà, alla miseria, alla fame. Gesù si è mostrato severissimo a riguardo dell’insensibilità umana verso le povertà. Basterebbe citare la parabola del ricco epulone (Cfr. Lc 16,19-31) e quella dell’uomo ricco che sognava nuovi granai, per ammassarvi l’enormità di grano prodotto (Cfr. Lc 12,13-20), al termine della quale Gesù parla della Provvidenza ed esorta a “vendere ciò che possedete e datelo in elemosina; fatevi un tesoro sicuro nei cieli... dov’è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore” (Lc 12, 33-34). Né ci è lecito distogliere gli occhi dalle devastanti ondate di disoccupazione in atto, che impediscono di guadagnarsi il pane quotidiano per la famiglia! Nessuno è padrone assoluto dei beni di cui dispone. Ne è solo il gestore, l’amministratore, per il bene essere di tutti.
Per la sua anima-mente l’uomo ha necessità del pane della Parola di verità, contenuta nella Bibbia. Per il suo spirito, cioè per la sua dimensione e forza vitale interiore che lo tiene in relazione di amore con Dio e con gli altri, l’uomo ha necessità vitale del pane dell’Eucaristia, il pane dell’amore, come rileva sant’Agostino, il quale ricordava che anche allora la Messa quotidiana – pane della Parola e pane dell’Eucaristia - era celebrata quasi ovunque. Al riguardo non restiamo indifferenti di fronte al dramma dell’anoressia spirituale, quando si diserta la Parola e l’Eucaristia. Tutta l’azione pastorale è finalizzata a far prendere familiarità con la Parola e l’Eucaristia, in funzione della vita consequenziale.
Rimetti a noi i nostri debiti, come (poiché) anche noi li rimettiamo ai nostri debitori
Rimettere sta per togliere via (“afes”), cioè condonare. Dunque, “Padre, condona i nostri debiti”! Forse, più che “come”, con significato modale comparativo, potrebbe essere “poiché”, con valore causale: “poiché anche noi li condoniamo ai nostri debitori”. Il senso puramente comparativo ci metterebbe in enorme svantaggio nei confronti di Dio: se Dio ci perdonasse solo ciò che noi condoniamo ai nostri debitori (100 denari, secondo la parabola), la gran parte del nostro debito con Dio (10mila talenti) resterebbe non condonata. Noi gli dimostriamo solo la nostra buona volontà, mentre Lui mostra la sua infinita Misericordia. Quale genere di debito abbiamo contratto con Dio? Non siamo certo suoi creditori, come il fariseo o i pelagiani. Abbiamo mancato di fiducia in Lui. Questo è il vero male dell’uomo, che lo rende disumano e inumano. È un’enormità. È una mostruosità. Chi salda questa sfiducia? Solo il Figlio crocifisso e risorto. Lui ci rende capaci di perdono. In questo sta il suo condono dei nostri debiti con Lui.
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