L’impegno di Paolo VI per salvare Moro
Riccardo Ferrigato
Non doveva morire. Come Paolo VI cercò di salvare Aldo Moro
Edizioni San Paolo
Cinisello Balsamo (MI) 2018
pagg. 192 - 12 euro
Nella moltitudine di libri pubblicati nel quarantesimo anniversario della strage di via Fani, del rapimento e dell’assassinio di Aldo Moro, gli autori sembrano aver aperto una gara per rendere più “misteriosa” una delle pagine più drammatiche della storia italiana. Diversi aspetti, effettivamente, sono rimasti poco chiari e, tra questi, quello dei rapporti tra il presidente della Democrazia cristiana e Paolo VI. Il Pontefice, amico dello statista pugliese, è stato troppo frettolosamente dipinto come “debole, immobile, succube” degli eventi.
Nelle quasi duecento pagine che compongono il volume Non doveva morire. Come Paolo VI cercò di salvare Aldo Moro, Riccardo Ferrigato dimostra come l’unico a essersi veramente impegnato per salvare il politico democristiano fu Paolo VI. Grazie al contributo di monsignor Leonardo Sapienza, reggente della Prefettura della Casa Pontificia e autore a sua volta di lavori sul pontificato montiniano, Ferrigato ha potuto accedere a documenti rimasti riservati fino a oggi. Su tutti, la bozza, rinvenuta in fotocopia, della lettera ai terroristi pubblicata il 22 aprile 1978. Alle correzioni operate dallo stesso Paolo VI, si affiancano cancellature e interventi di altri. L’ipotesi di Ferrigato è che l’autore sia stato monsignor Pasquale Macchi, segretario particolare del Papa, su suggerimento di monsignor Agostino Casaroli, all’epoca segretario del Consiglio per gli Affari pubblici della Santa Sede. La più evidente riguarda la frase “Vi prego in ginocchio, liberate l’onorevole Aldo Moro, semplicemente, senza condizioni”. Quell’espressione per decenni è stata considerata segno di forte chiusura, ma nella bozza era riportata “senza alcuna imbarazzante condizione”. Il cambiamento, spiega l’autore, è stato originato dal fatto che la trattativa messa in atto da Paolo VI doveva restare segreta: compromettersi con i terroristi e annunciarlo pubblicamente avrebbe significato far saltare quanto costruito fino ad allora.
I documenti e le testimonianze, queste ultime tratte in gran parte dalle audizioni della Commissione parlamentare d’inchiesta, presentano infatti il lavoro nascosto che il Papa aveva attuato tramite alcuni collaboratori.
Al termine della lettura del libro, che riporta i documenti, commentati, fotografati e riportati integralmente, viene da pensare che Moro si fosse sbagliato nella sua ultima lettera scrivendo: “Il Papa ha fatto pochino: forse ne avrà scrupolo”. Lui, però, non poteva sapere tutto quello che in realtà accadeva, visto che nella sua prigione le notizie erano filtrate dai carcerieri. Quanti avranno letto questo libro, invece, comprenderanno come i tentativi siano stati ben più di pochi, e che, allora come oggi, altri dovrebbero averne “scrupolo”.
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