Pubblicità comparativa possibile se non ingannevole
Ha destato scalpore e indignazione uno spot pubblicitario volto a promuovere il turismo in Calabria, nel quale si allude al fatto che sarebbe meglio andare in vacanza al Sud perché al Nord… ci si ammala.
Ha destato scalpore e indignazione uno spot pubblicitario volto a promuovere il turismo in Calabria, nel quale si allude al fatto che sarebbe meglio andare in vacanza al Sud perché al Nord… ci si ammala. Il messaggio contenuto nello spot, infatti, è tutt’altro che velato visto che il video pubblicitario scredita apertamente le regioni del Nord Italia, in particolare quelle maggiormente interessate dal turismo balneare, mostrando immagini delle spiagge del Nord accompagnate da una didascalia che recita: “Un tempo queste erano mete meravigliose del turismo mondiale ma oggi con il dilagare dell’epidemia mondiale non sarà più possibile praticare una cultura di massa del turismo”, comparandole con l’immagine di una ridente Calabria indicata come un luogo “dove c’è cultura del rispetto del suolo e del distanziamento sociale”.
Certo, lo spot in questione è sicuramente discutibile sia per il tempismo usato che per l’opportunità del messaggio lanciato. Ma dal punto di vista giuridico, questa può definirsi pubblicità comparativa? Iniziamo col dire che la pubblicità comparativa è lecita se per essa si intende quella modalità di comunicazione con cui un’impresa promuove i propri beni o servizi mettendoli a confronto con quelli dei diretti concorrenti, cercando di valorizzare quei pregi che li differenziano dagli altri. Il punto è proprio questo: la pubblicità comparativa è lecita solo se è fatta tra prodotti o servizi concorrenti, se non inganna i consumatori e, soprattutto, se non distorce in modo sleale le dinamiche competitive.
In questi ultimi due casi, al contrario, si parla di pubblicità ingannevole che può essere sanzionata dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato. È previsto, infatti, che l’Autorità, sia su iniziativa propria che sulla base di una denuncia da parte dei consumatori, dei concorrenti denigrati, delle varie associazioni, se rileva l’illiceità dello spot pubblicitario possa inibirne o sospenderne la diffusione o la messa in onda, oltre ad applicare una sanzione amministrativa pecuniaria il cui importo può variare in base alla gravità e alla durata della violazione; nonché sanzioni anche più pesanti qualora il soggetto non si conformi alle direttive dell’Autorità. In ogni caso, è comunque fatta salva la tutela da parte del giudice ordinario qualora la pubblicità comparativa illecita integri anche l’ipotesi di concorrenza sleale secondo quanto previsto dall’art. 2598 c.c., così come il giudice ordinario può essere chiamato a decidere anche nel caso in cui la pubblicità violi il diritto d’autore o il marchio e gli altri segni distintivi dell’impresa e, comunque, in ogni caso per il risarcimento del danno.
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